Altro che sacrifici per tutti I ministri ora si fanno anche la "superpensione"

Grazie a un cavillo chi lavorava nel pubblico avrà contributi previdenziali legati ai maxistipendi. A beneficiare del regalo di Natale, anche viceministri e sottosegretari. E la Polverini salva i baby vitalizi: è polemica

Altro che sacrifici per tutti I ministri ora si fanno anche la "superpensione"

Roma - Nemmeno un euro. I tecnoministri che stanno salvando e tassando l’Italia hanno trovato ricette di tagli per tutti tranne che per loro stessi. Nessuna variazione alle norme in vigore sul compenso per i ministri tecnici è contenuta nel disegno di legge approvato ieri dal Senato. Anzi, i padri dell’Italia che verrà si garantiscono per il periodo del loro mandato di governo dei supercontributi della pensione. Come? «Interpretando» una legge di ben trentuno anni fa, 1980, risalente alla notte dei tempi della prima Repubblica. E gravando sulle casse pubbliche, loro che dovrebbero alleggerirle.

È una «norma interpretativa» contenuta nel decreto salva Italia che comporterà la ricerca, anche se minima, di una «copertura finanziaria». Lo segnala perentoriamente la nota di lettura del servizio bilancio del Senato, il documento che analizza la manovra con la lente d’ingrandimento. Questa nuova disposizione sui contributi pensionistici dei ministri infatti propone, anche se «di limitato importo», nuovi «oneri», si legge, per lo Stato. Un paradosso se si pensa allo scopo che anima il governo in carica.

La contraddizione è nascosta in un comma piuttosto oscuro, burocraticamente involuto. Un pezzo di legge salva-Italia che sembra un arto a sé, un braccio separato dal corpo. Dopo un lungo elenco di tagli negli enti pubblici, improvvisamente, al punto 6 dell’articolo 23 compare quasi un appunto, un memento: si ricorda che i dipendenti della pubblica amministrazione chiamati a rivestire il ruolo di ministro o di sottosegretario entreranno in aspettativa per il periodo del mandato, ma continueranno a percepire la loro retribuzione invariata, a patto che non superi l’indennità parlamentare. Si fa quindi riferimento alla legge 146 del 1980, articolo 47. Il comma 6, all’apparenza così contorto, puzza di privilegi in questo tempi di vacche magre, ha protestato in aula il leghista Roberto Calderoli, e La Padania ieri ha dedicato tutta l'apertura del giornale ai «ministri che si sono salvati lo stipendio».

Salvatori dell’Italia ma anche difensori della propria busta paga. L’immunità da ministri è invariata, questa manovra non ha portato nessuno sforzo per tagliarla. E lo stipendio di prima rimane intatto, a patto che non superi l’indennità dei parlamentari (5.246,97), anche se i prof di Monti sono in aspettativa.

Ma non è questo l’aspetto sorprendente del piccolo comma annegato nella grande manovra salvifica. La normetta dice infatti che la legge dell’80 si interpreta in altro modo. C’è infatti una postilla, nel fatidico comma 6 articolo 23: per tutto il periodo del mandato, i tecnoministri continueranno a percepire i contributi ai fini della pensione, ma l’importo dello stipendio considerato non rispetterà il limite parlamentare, bensì sarà quello dell’ultima busta paga percepita da dipendente pubblico. Se per esempio uno dei ministri ex superdirigente statale (e si pensi a Grilli della Banca d’Italia o a Profumo del Cnr) percepiva, poniamo, ventimila euro al mese, i contributi che l’azienda Stato continuerà a versare si riferiscono a quello stipendio, e non al tetto dell’indennità previsto dalla legge del 1980. Un inghippo ben nascosto nella manovra, ma che non è sfuggito al servizio bilancio del Senato, che scrive: «Pur tenendo conto del limitato importo degli oneri relativi al dispositivo in esame, va comunque sottolineato che la norma interpretativa, come confermato peraltro dalla relazione tecnica, permette comunque un’elevazione della base retributiva da considerare ai fini previdenziali rispetto alla franchigia massima ora fissata dall’articolo 47 della legge 146 1980».

Ricapitolando: i tecnoministri potranno scegliere, come è avvenuto fino ad adesso in base a una legge del governo D’Alema del’99 (e non per disposizioni di adesso) se guadagnare a fine mese l’indennità da ministro (3.746 euro lordi) più quella del parlamentare (10.697 lordi), oppure, se dipendenti pubblici in aspettativa, quella da ministro più uno stipendio pari a quello che avevano prima, purché non superi l’indennità parlamentare. Ma i ministri di Monti avranno soprattutto, ed è questa la novità, favolosi contributi assicurati durante il mandato con l’interpretazione della legge dell’80.

Non si sono quindi tagliati nulla ma si sono aggiunti qualcosa. La scorsa estate Tremonti aveva aperto il dibattito: i ministri non abbiano due indennità, ma ne prendano soltanto una. Ora il caso è chiuso, con più costi per lo Stato.

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