Imàgo, la grandissima bellezza

Il ristorante in cima all’hotel Hassler vanta probabilmente la vista più bella d’Italia. Ma lo chef Andrea Antonini non si accontenta della cartolina ma continua a lavorare su un’idea di cucina sempre più stagionale e minimale. Il suo ultimo menu, ERROR13, ha come simbolo la falena, simbolo di trasformazione. Ed è suddiviso in quattro atti ciascuno composto da una successione di meraviglie

Imàgo, lo chef Andrea Antonini
Imàgo, lo chef Andrea Antonini

Elenco delle cose che mi piacciono di Andrea Antonini, lo chef di Imàgo a Roma. Numero uno: il fatto che pur trovandosi in uno dei ristoranti più felici e fortunati d’Italia, in cima all’hotel Hassler e con una vista che da sola varrebbe il prezzo del biglietto, e che quindi garantirebbe un sold out ogni sera anche solo con un buono spaghetto alle vongole, non smette di lavorare, di cercare di migliorarsi, di andare a caccia della sua piena maturazione (parliamo di uno chef classe 1991).

Imàgo, gli snack iniziali
Imàgo, gli snack iniziali


Numero due: il fatto che sia romano, e quindi profeta in patria in una città dove a guidare le cucine dei ristoranti stellati di romani di nascita non ce ne siano poi tanti (a occhio quattro o cinque su 21) e che malgrado ciò di folclore locale nella sua proposta ce n’è sempre meno, anzi direi che è proprio scomparsa.

Numero tre: le sue idee chiare non solo nella tecnica gastronomica e nella proposta del menu, ma nel presente e nel futuro dell’alta ristorazione, che lui vede come una forma di intrattenimento culturale bisognosa di regole e di rispetto, anche nei confronti di chi lavora dietro le quinte. Molti lo dicono, lui lo fa. E da qui deriva il numero quattro: i tempi perfetti della sua cucina, che non tracima mai nella noia, garantendo un ritmo serrato che rende il racconto avvincente e non trasforma la cena in un sequestro di persona.

Infine, numero cinque: il suo ultimo menu primavera/estate 2025 che ha, nel nome, una vera e propria ode all’imperfezione: ERROR13. E una falena colorata come simbolo, a citare anche “Il Silenzio degli Innocenti”. Lascio che sia lo stesso Antonini a spiegare lo sato dell’arte espresso in ERROR13: “La falena rappresenta l’evoluzione completa della metamorfosi ed è un simbolo potente di trasformazione. Sono arrivato a sentire la piena maturità in riferimento a tutto quello che ho fatto fino ad oggi e sento di poterla trasmettere in questo menu. Ho deciso di chiamare così la nuova proposta perché considero l’errore la base dell’evoluzione di una persona: se avessi centrato subito l’obiettivo sarei rimasto fermo ai menu precedenti. Sono invece stati ognuno un passo nella direzione che reputo giusta per raccontare la mia cucina”. ERROR13 è un menu creativo e rigoroso, un’architettura gastronomica precisa, italiana e internazionale.

Imàgo, Clarice
Imàgo, Clarice


La stagionalità estrema (che si sublima soprattutto nella prima parte del menu, che racconteremo dettagliatamente più avanti) è uno dei punti forti e lascia aperta la strada a qualche sostituzione di ingrediente se il mercato e il clima lo suggerisco. Un menu minimale, perché semplificare è un’altra delle ossessioni di Antonini. La ricerca, per lui, è una continua sottrazione, come in una scultura di Michelangelo la forma perfetta è quella che si raggiunge quando tutto il resto è stato tolto. Non un minimalismo stilizzato per ragioni estetiche ma una precisa esigenza espressiva, ERROR13 è diviso in quattro atti, come fosse un’opera lirica o teatrale.

Imàgo, Animella e fiori di sambuco
Imàgo, Animella e fiori di sambuco

Il primo atto è dedicato ai profumi della primavera e in qualche modo della libertà. Il primo atto è una successione di flash freschi e istantanee: la verdissima Acetosella, mirtilli e mandorle: una portata verde con alla base salsa fredda di acetosella, mirtilli, mandorle tostate; i magnifici Piselli con caviale (gelatina montata di baccelli, piselli freschi conditi con olio al cipollotto e limone e caviale Oscietra); l’Insalata estiva con pesche, vari tipi di basilico e capperi in forma fresca e croccanti; Lattuga e gamberi, una sorta di panzanella con lattuga, mela verde e pane raffermo, un gambero viola mediterraneo condito con un olio in estrazione ottenuto dalle teste tostate degli stessi, un po’ di limone e salsa fredda di lattuga acida; Cetriolo di mare leggermente affumicato in salsa verde, un pil pil di oloturia e mentuccia; la stupefacente Zucchina in fiore e manzo crudo, in cui il fiore di zucca è colto al mattino presto perché sia aperto a girasole, farcito con una battuta al coltello di filetto di manzetta beneventana condita da una salsa XO, un condimento di origine cinese dal gusto piccante e dolciastro, il tutto adagiato su una salsa bernese all’aglio, condita con una petit brunoise di zucchine; un Pane con acqua di mele e “miele” di pane. Tutto magnifico, tutto interessante, peccato solo che di ogni episodio ho desiderato durasse più a lungo.

Ma una tale morigeratezza verrà rivalutata con il trascorrere della cena. Più sostanzioso il secondo atto in cui Antonini si concentra sulla pasta, capolavoro rinascimentale dell’Italia a tavola molto spesso un po’ trascurato dall’alta cucina. Non qui. Minuscoli a del plin farciti con un ripieno composto da ogni parte del coniglio (comprese le interiora), zenzero e carote, adagiati su un gel di carota cruda viterbese alla base, carote in pickle di zenzero e infine un estratto fresco di carota gialla infusa allo zenzero.

Poi gli Spaghetti mantecati con olio aromatico con salsa di fichi precedentemente caramellati in padella e poi sfumati con succo di limone fresco, basilico fresco, olio aromatico ottenuto dall’infusione di foglie di fico fresche e piccole sfere essiccate di purea dei frutti avanzati, polvere di lavanda. Infine il piatto definitivo della serata: Pasta burro e parmigiano 120 mesi. Abbiamo spiato il visibilio di molti stranieri di fronte a un simile virtuosismo in forma di pasta. Atto terzo, i cosiddetti secondi.

Imàgo, il sommelier Alessio Bricoli
Imàgo, il sommelier Alessio Bricoli


Astice cotto al burro con una panatura aromatizzata con buccia di lime e bisque schiumata di astice con acqua di mais: dolcezza, freschezza, piccantezza, spessore. Poi un altro masterpiece, l’Animella marinata nel latte, frollata e lasciata maturare per due settimane, poi scottata, passata al burro, passata alla brace e glassata ai fiori di sambuco e aceto di Xerès. Resto l’ultimo atto, quello dolce, che merita un surplus di attenzione. La lievità della Verbena con melone e cetriolo, il carattere dell’Albicocca, mandorla, origano e aceto balsamico.

La freschezza di Clarice (yogurt di capra mantecato con gelato alla vaniglia, biscuit con mandorle e zucchero muscovado, more fresche, gel di more e una salsa bernese al burro tostato, infine cialda di cioccolato dell’Ecuador che riprende nella forma e nei colori la falena simbolo del menu). E la Torta di pesche, solo apparentemente semplice. La sala come sempre gira che è una bellezza, l’eleganza sorniona e ironica di Marco Amato, il maitre e gran regista, vigila su tutto. La cantina, guidata dal bravissimo Alessio Bricoli, è da cattedrale del vino. Imàgo è il posto per innamorarsi definitivamente di Roma.

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