Speravano di uscire liberi dalla sala degli Affreschi della corte d’Assise di Perugia Amanda e Lele, i due ragazzi accusati di avere ucciso Meredith in una notte di sesso, rancori e vendette. Invece un cellulare li attendeva per riportarli in gabbia.
Ventisei e venticinque anni di prigione per loro significano mezza vita da passare dietro le sbarre. A Perugia c’è chi ha atteso fino a notte fonda per insultarli all’uscita dal tribunale.
Ma Knox the Fox e l’ingegnere di Giovinazzo, anche all’indomani di una notte insonne continuano a ripeterlo. «Siamo innocenti».
L’americanina di Seattle in un’ora di colloquio con uno dei suoi difensori, Luciano Ghirga, chiede aiuto. «È provata, - spiega l’avvocato - stanca, e stressata. È preoccupata soprattutto per i suoi familiari. Vuol dimostrare la sua innocenza». In lacrime, il volto di fanciulla improvvisamente raggrinzito, ha visto il suo ultimo sogno sgretolarsi: «Non tornerò a casa con i miei genitori a Natale. Non è giusto, non è possibile...».
Piange da un giorno intero la bella ed enigmatica biondina che ora non canta più le canzoni dei Beatles. È crollata prima ancora che il presidente Maffei terminasse di leggere il dispositivo della sentenza. Ed ecco perché quelle lacrime non hanno smesso di colare per tutta la notte, dopo il rientro in cella e nonostante i tentativi delle sue tre compagne di cella e degli agenti della polizia penitenziaria di farle coraggio. «Non capisco, non capisco», continuava a ripetere a chi le era accanto.
Le restano il processo d’Appello e i suoi genitori. «Mamma, io non ho ucciso Mez. Dovete aiutarmi e dovete continuare a ripeterlo a tutti. Solo se mi crederanno uscirò di qui».
L’ultimo grido disperato. Prima di addormentarsi ieri mattina in un sonno popolato da fantasmi.
Non sta meglio il suo (ex?) Raffaele Sollecito. Gli agenti lo sorvegliano a vista, come per la ragazza, temono qualche gesto sconsiderato.
Per lui parla il legale Luca Maori. «Raffaele è molto provato. Ci ha detto che gli sembra di vivere in un incubo infernale. Non si dà pace». «Abbiamo cercato di rincuorarlo, è distrutto».
«Perché sono qui? Perché si sono comportati così?» avrebbe chiesto quasi a cercare dai suoi avvocati l’ingegnere di Giovinazzo, ancora incredulo. «Io non ho fatto nulla, non c’entro niente con questa storia».
Hanno discusso tredici ore i sei giudici popolari e i due togati chiamati a decidere del destino dei due giovani. «Una scelta molto sofferta» che partiva però da un presupposto: che l’ergastolo fosse «una pena troppo dura per due ragazzi di vent’anni», spiega uno dei giurati.
«Abbiamo valutato le prove che c’erano e quelle che non c’erano. L’ergastolo era sicuramente una pena troppo dura per due ragazzi di vent’anni. Allora - sottolinea - avremmo dovuto dargli la pena di morte e non pensarci più».
In carcere Amanda ha un amico. Un confidente. Forse l’unico in grado di aiutarla, don Saulo Scarabattoli, il cappellano. «Le ho fatto capire che tutto ha un senso nella vita, anche quello che sta vivendo. Lei ha la speranza, non cadrà nella disperazione».
Del resto la attende un’altra battaglia. Il processo d’Appello. «Non abbandonerò mai mio figlio in carcere e lo difenderò finché avrò forza», promette Francesco Sollecito, il padre di Lele. Mentre Edda, la mamma di Foxy la rincuora così: «Le ho detto che presto uscirà di qui, ci vorrà solo più tempo».
Lontani, con le valige pronte per tornare in Inghilterra i genitori, il fratello e la sorella di Meredith, vittima quasi dimenticata. Hanno vinto, ma non esultano. «Mez ci manca tanto, anche se è sempre con noi.
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