Ma amare i cani non significa solo sfamarli

Nella farmacia di Lido Marini va forte la seguente barzelletta:
- Un signore entra preoccupatissimo: «Dottore, un cane mi ha morso un dito...».
- E il dottore: «E l’ha disinfettato?».
- «No! È scappato subito!».
Lo so, non fa granché ridere, ma fotografa bene una situazione. Già, perché a Lido Marini (una delle spiagge di Marina di Ugento) a comandare, in paese, sono i cani. Una decina di randagi che negozianti e abitanti del luogo hanno pensato bene (bene?) di adottare. Tenendoli a casa e avendo cura di loro? E no, troppo faticoso; più comodo gettargli un po’ di avanzi in strada.
Così ogni giorno, a pranzo e cena, lungo corso Colombo, la via principale, è tutto un tintinnare di scodelle. Un suono che però puzza di falso buonismo. Perché un cane è un essere da amare a 360 gradi, non un oggetto da sfamare aridamente alla stregua di un tamagotchi. Eppure questo pseudo-feeling tra residenti e quadrupedi è diventata la favola bella degli animalisti. Nulla di più sbagliato. La verità è infatti che ci troviamo dinanzi a un falso idillio tra umani e quadrupedi: un comportamento che non solo mortifica gli animali, ma nasconde anche gravissimi pericoli. Perché i cani coccolati dalla «pro-loco» - se da una parte si mostrano affettuosi con gli indigeni che li sfamano - dall’altra mozzicano le dita (e non solo) dei forestieri che a Lido Marini ci vanno solo per godersi lo splendido mare.
Il branco ha imparato bene a distiguere la generosità alimentare della popolazione autoctona dall’avarizia gastronomica dell’esercito degli stranieri. E così si vendica su questi ultimi ringhiandogli contro. Dal Comune di Ugento fanno sapere che, al momento, gli accalappiacani sono in ferie.

Torneranno in servizio, forse, a settembre. Quando quei bastardi dei turisti - comprensibilmente antipatici ai pelosi «colleghi» del branco - avranno fatto rientro nei rispettivi territori di appartenenza.
A ognuno la sua zona, e poca confidenza.

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