Parliamo d'amore, iniziamo con un funerale. È un giorno imprecisato d'aprile del 1824 e a Londra splende il sole. Quarantasette carrozze vuote, nere, listate a lutto procedono lentamente verso la chiesa di Maria Maddalena. Si celebra il funerale del maggior poeta del tempo: George Gordon Lord Byron. Ma nessuno canta, nessuno prega. Nessuno c'è, anche se ci sono tutti. Il defunto era una leggenda vivente ma ora che è morto lo vogliono dimenticare. Da otto anni non lo avevano più ammesso alla Camera dei Lords ed era andato in esilio in Italia e in Grecia. Perché odiano tanto Lord Byron? Non lo odiano né per la poesia né per la politica, né per i debiti né per l'animo: «Lo odiavano per come faceva l'amore». Lo odiano per come ama e per come pensa. Per come vive. Lo odiano per le sue molte relazioni con uomini e con donne. Non è tollerabile. Lo odiavano perché era un libertino.
Chi è libertino? La questione dei libertini - degli amori eversivi - non è materia per studi letterari e accademici perché dentro vi batte il cuore della nostra libertà più vitale e radicale: la libertà di amare e di vivere come sentiamo di voler e dover fare. Non è un caso che la radice del sapere, dal quale si fa discendere la libertà civile, è amorosa. La parola antica - filosofia - è amore per la sapienza e il filosofo è Eros che ricerca la Bellezza perché ne è innamorato. La filosofia altro non è che il tentativo di moralizzare la passione erotica senza mai poterci riuscire del tutto perché se vi riuscisse morirebbe inaridendo la sua stessa fonte di vita e libertà. Il libertino vive la passione amorosa e sa che Eros non può sottostare a norme, dogmi, schemi, conformismi che svuotano la vita del suo senso. Il libertino, come il filosofo, ama troppo. Per questo odiavano Lord Byron. Per questo odiavano i filosofi. Attenzione. Non confondiamo il libertino con un playboy, un donnaiolo, uno sregolato: se si cade nella confusione non si capisce l'odio verso il libertino. Vivendo l'amore liberamente e facendone ragione di vita, il libertino rovescia il totem della morale e le conseguenze della sua vita d'amore e di pensiero sono etiche e politiche, religiose e metafisiche. Il libertino è scandaloso ed eretico. Per questo odiavano Lord Byron.
Cesare Catà ha tradotto e pubblicato un florilegio di versi e scritti erotici e libertini - Libertini libertine. Avventure e filosofie del libero amore da Lord Byron a George Best (liberilibri) - con brani tratti da Omero ed Esiodo, Saffo e Ovidio, Casanova e de Sade, Shakespeare e Byron, Aphra Behn e Anne Sexton, Giulio Cesare Vanini e Oscar Wilde. Ha scritto un profondo e scintillante saggio introduttivo, Il libertino: l'archetipo del ribelle d'amore, di cui questo articolo è il volgare saccheggio. Se proprio devo dare un consiglio non richiesto di lettura, ebbene, s'inizi proprio dall'introduzione appassionata e rigorosa di Catà e così si gusterà meglio l'antologia.
Anche se il saggio inizia con Calvino e risale ancor più su, fino a Tommaso e Ubertino da Casale - sì, quello del Nome della rosa - non fatevi impressionare perché non si parla di trapassati e trapassato remoto ma di uomini e donne vive e di presente perché la libertà di pensiero e di amore, e di esprimere i propri pensieri amorosi, sono problemi contemporanei che avvertiamo sulla pelle. In fondo, e lo sappiamo, crediamo di vivere in un'epoca libera e siamo, invece, in una stagione non solo bigotta e puritana ma anche intollerante nei confronti del libero pensiero. Certo, non vi sono le pene e i destini terribili di Théophile de Viau, di Etienne Dolet, di Michele Serveto, di Giordano Bruno, del Vanini ma la condanna moralistica a cui va incontro chi rovescia, a torto o a ragione, il vigile censorio conformismo è opprimente. Perché la radice del libertino non è nel godimento sessuale ma nel sovvertimento dei dogmi in cui la vita è chiusa in una gabbia, ora materiale ora mentale, e il libertino - il ribelle d'amore - apre questa gabbia per (mi perdoni Catà per la citazione che potrebbe sembrare fuori luogo) un «istinto di verità», come dice Hegel, che altro non è che l'esigenza che ha la condizione umana in sé di essere sempre ri-pensata per poter essere vissuta secondo libertà. La conoscenza o passa attraverso un dramma d'amore o non è conoscenza.
È proprio per questo motivo che il libertino non va confuso con il mito di Don Giovanni come si trova in Tirso de Molina, in Da Ponte e Mozart, in Molière e in Goldoni: qui Don Giovanni è un dissoluto, un collezionista e in quanto tale è già una maschera, una caricatura, un misogino. La sua amoralità non è l'immoralità del libertino. Quest'ultimo, il libertino, è un «casanova» che non colleziona donne ma le ama una alla volta e nel modo in cui ognuna merita di essere amata. Per questo il «casanova» - e lo stesso Giacomo - è cortese, intrattiene rapporti alla pari con tutte le donne, siano nobildonne o lavandaie, ed è leale. Le ama tutte, non c'è dubbio, ma le ama fisicamente e spiritualmente e in quanto le ama è gentile. Il libertino così visto non è un dissoluto ma un «cavaliere della fede» o un cavaliere della vita che ama e rivoluziona le regole sociali per viverle in più alto grado. L'amore libertino è, dunque, reciproco: non è solo dell'uomo ma anche della donna. Il Don Juan di Byron non è il mito mozartiano di Don Giovanni che gode tutto per sé narcisisticamente, ma è il Casanova che canta, apprezza e rivela il piacere femminile e il desiderio sessuale delle donne. Il liberale e aristocratico Lord Byron è in questo scandaloso, eretico, eversivo. Le donne di Byron amano e godono e sono seduttrici, piuttosto che prede.
Ora, la società odia i libertini, ma ancor più odia le libertine. Cos'è una libertina, una donna libera d'amare, vivere e pensare? Lo sapete: una strega. La stessa parola «libertina», oggi, è un insulto.
La poetessa Veronica Franco, nella Venezia del Cinquecento, fu amante, cortigiana, intellettuale e fu accusata di stregoneria. Si difese da sola nel processo che ne chiedeva la morte e fece cadere tutte le accuse. Fu libera. Forse, era davvero una strega.
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