Gli americani Sempre un po’ naif

Dane Shea non ha ancora realizzato se i virtuosismi con i piedi sono migliori di quelli con le mani, ma soprattutto non sa che cosa farà da grande. Uno dei volti nuovi della nazionale a stelle e strisce diretta da Klinsmann divide infatti le sue giornate tra pallone e tavolozza. Il calcio è una passione di famiglia, consegnata al giovane Dane (22 primavere ieri) da papà Charles e da mamma Kirsten. La pittura è qualcosa in più di un semplice hobby: del resto se non hai talento non puoi certo permetterti di esporre i tuoi quadri alla Controlled Chaos Art Show, celebre galleria di Boston che ospita le opere dei maestri dell’arte astratta.
Nel frattempo “Brek”, soprannome maturato ai tempi del college, porta avanti le due esistenze senza patemi d’animo. «Sinceramente non mi sono ancora posto un obiettivo definitivo. Dalle nostre parti c’è meno pressione che in Europa, quindi in teoria potrei continuare a dipingere e al tempo stesso difendere la maglia della nazionale». Un po’ come il suo connazionale, e quasi omonimo, Andrew Shue, ottimo trequartista che tra il 1993 e il 1997 giocò per i Los Angeles Galaxy senza trascurare la carriera d’attore nel telefilm Melrose Place e nelle pellicole di Francis Ford Coppola.
Shea è originario di Dallas, texano dagli occhi di ghiaccio in uno stato degli Usa che ha adottato il pallone ai tempi dei Tornados, squadra che dava del filo da torcere ai Cosmos di Pelè e Chinaglia. Da ragazzino ha bruciato tutte le tappe conquistando l’ambizioso «Generation Adidas», una sorta di oscar del calcio giovanile americano. Aveva 17 anni quando provò in Inghilterra nei Bolton Wanderers. L’entusiasmo era così grande che nascose di avere un menisco rotto. «Giocai stringendo i denti, ma mi rispedirono a casa. Forse adesso mi avrebbero tesserato». Non sembra farci caso più di tanto ad essere uno dei pochi nazionali a non aver trovato un ingaggio in Europa. I tifosi dell’Fc Dallas del resto lo adorano. Shea in campo giostra da centrocampista offensivo o da seconda punta, mette in mostra una fluente chioma bionda che fa impazzire le teenagers e una serie infinita di tatuaggi che gli scolpiscono il corpo.
Una volta appese le scarpette (non al chiodo) si dirige al Left Foot lo studio di pittura preso in affitto da poco e ribattezzato così in onore del suo piede sinistro. «Creo soprattutto opere astratte, ma per il momento non sono interessato a metterle in vendita, semmai all’asta». Con il sostegno del presidente del suo club, il miliardario Dan Hunt, ha ideato lo scorso giugno la Fc Dallas Foundation, che ha come obiettivo la raccolta fondi per i bambini disagiati del Texas. Sulla sfida di Marassi, Shea non fa pronostici, ma spera di giocare almeno uno scampolo di partita.

«Sarebbe un onore affrontare gli azzurri, ma lo è comunque essere stato chiamato per l’infortunio di Landon Donovan. Sostituire il calciatore americano più forte di tutti i tempi non è qualcosa che capita tutti i giorni».

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