Jacopo Casoni
Un oro olimpico è un evento che cambia la vita, figuriamoci due. Il peso del metallo più pregiato, della medaglia più ambita è qualcosa che può far irrigidire i muscoli del collo e, magari, perdere la testa. Se poi l'exploit arriva inatteso, l'«eroe della domenica» rischia di restare la classica meteora sportiva di cui è pieno il cielo, soprattutto quello olimpico.
Simon Ammann, lo svizzero vincitore di entrambe le prove di salto con gli sci ai Giochi di Salt Lake City (K90 e K120), non è riuscito a smentire lo scetticismo che accompagna le imprese più sorprendenti. Negli Usa, Ammann arrivava come comparsa designata di quello che doveva essere il grande show del tedesco Sven Hannawald. Invece, con l'aria sbarazzina e la sfrontatezza dei suoi 20 anni, si prese tutta la gloria che un'Olimpiade può dispensare. E pensare che il nostro, oltre a non aver vinto nessuna gara di Coppa del Mondo nelle quattro stagioni che già aveva disputato, era anche reduce da un brutto infortunio alla testa, rimediato appena un mese prima dell'accoppiata olimpica. Sembrava essere, anche in considerazione della giovane età, la nascita di una stella assoluta della specialità. Invece, dopo aver dato immediato seguito all'ottimo stato di forma di quel periodo vincendo la sua prima, e finora unica, gara di Coppa a Oslo, si è eclissato. Mai più un acuto, nessun trionfo.
Oggi, a 4 anni di distanza, Ammann annusa di nuovo l'aria olimpica e lo fa ancora da outsider. A Pragelato, nelle finali del 12 (k90) e del 18 (K120) febbraio, tutti si aspettano grandi cose dal finlandese Ahonen, dal ceco Janda e dal polacco Malysz. Ammann non è nell'elenco degli atleti da medaglia e viene snobbato anche dalla propria nazionale, che punta su altri nomi per cercare un risultato di prestigio.
A proposito di Torino, l'olimpionico ha capitalizzato i trionfi americani proprio nel quadriennio appena trascorso, presenziando a tutte le inaugurazioni degli impianti e accettando di buon grado il ruolo di vedette della propria disciplina.
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