Roma - Pentiti. È questa la maledizione di Saverio Romano, ministro dell’Agricoltura, che appena 48 ore fa ha sfangato una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Pentiti, si diceva. Ma a parte quelli siculi e con la coppola, considerati inattendibili dal pm che per Romano ha chiesto l’archiviazione e valutati invece credibili dal gip che ha ordinato l’imputazione coatta, ce ne sono altri in gessato o in principe di Galles. Sono i pentiti politici, quelli di Palazzo, che a seconda del momento difendono o accusano la stessa persona per le stesse vicende. Quelli che se stai con loro ti tutelano, sennò ti scaricano. Quelli che dimmi cosa voti e poi decido se sei colpevole o innocente; se sei buono o cattivo. Sei contro Berlusconi? Limpido. Sei con Berlusconi? Sporco. A Romano è andata così.
Pentiti. Il primus inter pares di questa categoria è Pier Ferdinando Casini. Il suo partito l’ha lanciato, candidato, vezzeggiato, difeso. Fin dal 2003 quando si avviò l’inchiesta su Romano, all’epoca deputato di prima legislatura ma con un ruolo di spicco tra i centristi, si affrettò a «esprimere solidarietà affettuosa e convinta di tutto il partito». Innocente era. E innocente resterà fino a quando Romano decide lo strappo, in polemica con la politica della lingua in bocca al Pd di Casini. Lesa maestà. Innocente, onesto, vittima di una persecuzione giudiziaria, da salvare prima; pieno di ombre, compromesso, da sfiduciare poi.
Prima è mister 110mila preferenze, quello che alle Europee del 2009 risulta il più votato dell’Udc in tutt’Italia, serbatoio inesauribile di consensi; una risorsa insomma. Poi è un ostacolo, una stampella del Cavaliere, un nemico. Che va sfiduciato. Casini che giurava dell’innocenza di Romano è lo stesso che l’altroieri imponeva ai suoi di affossarlo. Diversi parlamentari dell’Udc, alla vigilia del voto di sfiducia, assicurarono ai «cugini» del Pid, (ossia ai transfughi di Romano) che non se la sarebbero sentita di mostrare il pollice verso in Aula. Tra questi anche un big come il segretario del partito, Cesa. Ma Casini è Casini. E le coscienze dei centristi si sono piegate al volere del capo supremo.
Altro pentito è Raffaele Lombardo, potente governatore siculo e attuale leader dell’Mpa. Anche lui con Romano ci andava a braccetto. Nel 2004 Lombardo venne addirittura candidato ed eletto nelle file dell’Udc al Parlamento europeo. Nel 2005, commentando l’inchiesta che ha coinvolto sia Totò Cuffaro sia Romano, al momento dell’archiviazione, Lombardo esultava: «Per entrambi sono stati mesi di linciaggio politico e morale, spietato e ingiusto quanto infondato». Ma la politica rimescola le carte e le convinzioni personali come se fosse una mano di scala quaranta. Succede che nel 2009 Lombardo, eletto governatore nel centrodestra, comincia a rimpastare la sua giunta e da un governo retto da Pdl e Udc diventa un governo targato Mpa, Miccichè, Api; poi Api, Fli, Pd e Udc di Casini. Insomma, Romano diventa nemico. E infatti l’Mpa è per la sfiducia. O meglio, per una «non fiducia». L’ordine di Lombardo ai suoi quattro uomini alla Camera è bizantino: due di loro, Carmelo Lo Monte e Roberto Commercio, non votano; mentre Angelo Lombardo e Sandro Oliveri lo sfiduciano.
Pentito pure Calogero Mannino che assieme a Romano ha fatto nascere il Pid, in dissenso alla linea di Casini. Proprio Mannino disse che «la tradizione della Dc non può essere dispersa nel Pd ed è per questo che abbiamo deciso di andare via». Poi però anche lui s’è distanziato dal ministro Romano e ha così deciso per la linea pilatesca del non voto.
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