«Amo una signora dell’alta società»

Caro Lussana, vorrei raccontare, ne Il derby dei tifosi, cosa significa – per me - essere sampdoriano. Io amo la bella, affascinante Signora cinquantanovenne da quando portava i calzettoni bianchi e blu a righe. Mio padre, del resto, sampdoriano intransigente, era stato chiaro, quel giorno di trentatre anni fa (erano i primi di settembre del 1972) in cui portò me, bimbo in tenera età, in gradinata Sud: «Quelli con la maglia blu con i cerchi sono i buoni e sono i nostri».
E poiché quel giorno c’era il derby, pensate chi erano gli altri... Quella partita finì in pareggio, ma rimasi talmente affascinato dai colori blucerchiati, dal suono dei tamburi degli Ultras, dai cori della gente, che a fine partita volli per forza tornare a casa con una bandiera della Samp, la «mia» bandiera!
Come dimenticare il mitico Beppe Andreotti, il cui megafono è stato la colonna sonora di quegli anni e il cui bar in via Canevari (oggi Bar della Posta, ma per me ancora il mitico Bar Beppe dove andavo a comprare i primi adesivi sampdoriani) era il ritrovo di tanti tifosi blucerchiati prima e dopo ogni partita? Come dimenticare «la Mura», mitica anziana di Sampierdarena, vera capostipite delle migliaia di donne e ragazze sampdoriane di oggi? Povera Caterina Mura! Lei che ha percorso, al seguito della squadra, più giri d’Italia di Coppi e Bartali, è morta prima di irrompere in Europa. E chi avrebbe immaginato, allora, che un giorno sarebbe sorto un Club sampdoriano proprio a Lei dedicato. Ma se il Padreterno le ha perdonato qualche bestemmia, di certo ha già dipinto di blucerchiato la più bella nuvoletta del cielo, insieme a Gloriano Mugnaini, che avrà già fondato il Sampdoria Club Paradiso, a Damiano Damoia, da tutti conosciuto come Tamburino, a Simona, a Giovanni Mantero, e alle tante tifose ed ai tanti tifosi «andati avanti».Si diventa sampdoriani perché si sceglie ad occhi aperti, cuore e cervello, e l’amore sboccia piano piano, come un fatto naturale.
La Sampdoria è una bella donna, con qualche difetto forse, ma sulla quale si può sempre contare, che fa bella figura in società: è un amore tenace perché non è passione irrazionale, cupa, sanguigna, accecante. E siamo cresciuti insieme, io e la signorina Sampdoria. Ricordo quel comprensibile, infantile pizzico d'invidia che provavo le domeniche mattina quando mio fratello, di cinque anni più grande, partiva per seguirLa in trasferta. E lo immaginavo a sventolare la «nostra» bandiera blucerchiata nelle curve degli stadi italiani mentre ascoltavo Tutto il calcio minuto per minuto e vedevo le immagini di Novantesimo minuto e della Domenica Sprint. E quella calda sera del 3 luglio 1985 – la nostra prima Coppa Italia – sentivo nell’aria un profumo dolcissimo. La magica notte del 1985, dopo gli anni di Bombardi e Picchia-Romei, dopo aver perduto dal Matera e mangiato pane duro a denti serrati. Ricordate Giorgis e Toneatto, il mister dal grande cuore e dagli avventurosi congiuntivi? I nostri lunghissimi anni Settanta.
Ricordo ancora i racconti di mio papà e di mio fratello su Pierone Battara eroe di Napoli, su Tito Cucchiaroni che segnò a San Siro senza una scarpa, su Vieri (padre!) e Cristin. Rivedo il gol di Alviero Marziano Chiorri a San Siro con il Milan, quelli di Trevor Francis, che poi finiva immancabilmente per terra, le giocate di classe di Micio Orlndi...Ma ricordo anche il derby di Maraschi e Rossinelli con la faccia a terra il giorno della retrocessione del 1977. E il primo derby dell'era del prufissuri di Lipari («simpatico e genuino», come scrisse un quotidiano genovese) che disse: «La Mitropa Cup vale di più della Coppa delle Coppe». Coppa Italia, 30 agosto 1989, 1-0 gol di Vialli: Victor Munoz fu aggredito all'uscita dello stadio da alcuni tifosi avversari e per salvarlo un vigile urbano dovette sparare in aria. L'episodio finì nelle ultime righe dei giornali. Come in tutte le storie, una svolta: Paolo Mantovani. Il Sampdoriano Massimo, l’Asso di Cuori. E la festa della serie A, nel 1982? E le prime partite in Europa, il gol malandrino di Salsanino il Breve. Nonostante la notte di Berna. Nonostante Wembley. Nonostante Bologna.E nonostante il «Buon Natalens». Quelle sere, mentre tornavamo dalla Svizzera, dall’Inghilterra e dall’Emilia Romagna, attempate massaie, affermati professionisti, distinti ragionieri, austeri assessori invasero la città per glorificare le nostre sconfitte. Poveretti... Nessun moralismo, per carità. Non hanno comunque portato loro fortuna quelle sbornie al veleno: si sono dovuti rovinare il fegato con le nostre quattro Coppe Italia, la SuperCoppa italiana, la Coppa dello Coppe, lo Scudetto Tricolore. Visto, vissuto, vinto.

Ma la Samp, la mia Samp, è sempre più bella, più giovane, più attraente. Più grande del 1946, più amata e magari più odiata. Ma semplicemente unica. E solo chi, come me, la ama davvero, può capirmi.
Roberto Martinelli

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