Lui, Stefano Pessina, ingegnere, classe 1941, esordisce negli affari ristrutturando l'attività di famiglia, una piccola azienda napoletana specializzata nella distribuzione di farmaci. Poi inizia a farla crescere a forza di acquisizioni. Nei primi anni Ottanta, proprio mentre è a caccia di imprese da comprare, conosce una giovane farmacista di Chiavari, Ornella Barra, che l'azienda se l'è creata da sola. Pessina rileva anche questa attività e i due diventano partner, nel lavoro e nella vita. Da allora la coppia non si è più fermata, fino a creare il più grande gruppo mondiale nel settore della distribuzione farmaceutica: Walgreens Boots Alliance, con più di 350mila dipendenti nei cinque continenti. Da anni Barra e Pessina condividono una casa a Montecarlo e il timone dell'azienda, con gli incarichi lei di chief operating officer (amministratore delegato), di presidente lui. Manco a dirlo, la ricchezza personale dei due è andata crescendo con le fortune del loro business: al solo Pessina la rivista Forbes ha attribuito un patrimonio di oltre 10 miliardi di dollari, una somma che ne fa il terzo uomo più ricco d'Italia.
Una storia d'amore e di denaro all'apparenza singolare, ma forse non poi così tanto, se è vero che l'università Bocconi ha pubblicato qualche tempo fa una ricerca con un risultato preciso: tra tutte le aziende familiari, uno dei pilastri fondamentali dell'economia italiana e non solo, quelle che vanno meglio sono guidate da un marito e da una moglie. Attenzione: non si parla di società in cui i proprietari sono un lui e una lei uniti nel sacro vincolo del matrimonio. Ma di imprese in cui marito e moglie (o meglio: due partner nella vita privata, visto che non c'è bisogno di un legame formale) tengono in mano, insieme, il bastone del comando: nell'inglese della ricerca è la cosiddetta «marital leadership», contrapposta alla «marital ownership».
NUMERI E BILANCI
Per arrivare alla conclusione gli autori dello studio (per la Bocconi ci sono Guido Corbetta e Mario Daniele Amore, affiancati da due docenti canadesi) hanno passato in rassegna i bilanci di quasi duemila società per una dozzina d'anni. Uno sforzo inedito, quantomeno per dimensioni, che si è concretizzato in qualche numerino di quelli che piacciono agli analisti finanziari: le aziende familiari guadagnano in media il 5,3% del capitale investito; le aziende di coppia un punto percentuale in più, con un rendimento medio aggiuntivo pari a circa un quinto del totale. Parecchio davvero.
«La prima spiegazione è semplice», spiega Corbetta, che alla Bocconi è docente di management strategico delle aziende familiari. «Due fratelli si trovano sotto lo stesso tetto: sono figli dello stesso padre e a questa situazione devono adattarsi. Le coppie si scelgono e solo per questo sono tendenzialmente portate a funzionare meglio». Facendo leva su una combinazione di affinità e complementarietà, marito e moglie danno all'impresa un valore aggiunto importante. E alla fine, dimostrano i bilanci delle aziende prese in considerazione, il tandem al vertice «fa crescere la quantità di investimenti nei periodi di incertezza, riduce il turnover dei dipendenti e aumenta la produttività dei lavoratori», così recita lo studio.
Quanto a complementarietà una coppia illustre del mondo della moda sembra fare da caso scuola: Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. Miuccia, ovvero Maria Bianchi, erede per parte materna del business creatodal nonno Mario Prada, è diventata famosa per le sue collezioni di borse (e non solo), per lo stile elegante e visionario. Nel 1977 ha incontrato il futuro marito (anche se il matrimonio è di una decina di anni dopo), destinato ad assumere la guida manageriale del gruppo. Lei la disinteressata artista, lui il concreto uomo dei numeri. O almeno questa è la versione semplificata che filtra attraverso i media. Semplificata e semplicistica perché le aziende di coppia, così come i matrimoni su cui sono fondati, si reggono su equilibri più complessi e misteriosi, su affinità di valori e sensibilità.
FIDUCIA INNANZITUTTO
Usando la terminologia aziendale un primo effetto del lavoro a due è l'abbassamento dei cosiddetti «costi di agenzia». I normali amministratori delegati, quelli che lavorano, più o meno pari grado, con un collega, dedicano il loro tempo al business, ma devono anche monitorare l'attività della persona al loro fianco. In una coppia la fiducia è (o dovrebbe essere) il migliore collante. Anche perché interessi e incentivi sono di solito perfettamente coincidenti. Non c'è uno dei manager di vertice che deve fare carriera a scapito dell'altro: si perde e si vince insieme.
Il principio è valido anche in settori dove è l'individualismo, se non il narcisismo, a farla da padrone. Una delle coppie più in vista dello show-business americano è per esempio il duo tra la cantante Beyoncé e il rapper Jay-Z. Insieme valgono quasi 1,2 miliardi di dollari e il loro patrimonio cresce al ritmo di 100 milioni l'anno. La vendita dei dischi è una parte trascurabile degli incassi: il grosso sono i concerti e le attività collaterali come pubblicità, linee di abbigliamento, catene di locali e persino la proprietà di una maison di champagne. Anche i tradimenti reciproci (veri o presunti) sono diventati uno strumento per migliorare la riconoscibilità del loro marchio. E il fatto di poter giocare la partita in due ha dato senza dubbio loro una mano quando, insieme ad altri artisti, hanno rilevato Tidal, un servizio di musica in streaming.
Più il business è complesso più l'azienda matrimoniale funziona meglio, dice la ricerca della Bocconi. Un esempio si può trovare nel centro di Milano, dove ha sede la Tip, Tamburi Investments Partners, una delle merchant bank italiane di maggiore successo negli ultimi anni.
RAPPORTI PARITARI
Il «frontman» della società è Giovanni Tamburi uno dei maggiori investitori privati in Piazza Affari, artefice di molte lucrose operazioni borsistiche, ma co-fondatrice, amministratore delegato e vicepresidente, è la compagna di vita Alessandra Gritti, ex Mediocredito ed Euromobiliare, che qualcuno ha definito la donna più potente della finanza italiana. Il segreto delle aziende di coppia è proprio questo: il rapporto paritario tra i due partner. E il successo diminuisce mano a mano che la differenza di età tra i due soci aumenta. «I maggiori benefici sono legati alla complementarietà di competenze, età molto diverse rischiano di tradursi in differenze di priorità e in uno disequilibrio di poteri».
Insieme ai tanti pregi l'azienda di coppia vive un rischio ineliminabile: il divorzio, che rischia di trascinare con sé anche il business.
«Ed è questo a definire il limite oggettivo del nostro studio», dice Corbetta. «Abbiamo potuto misurare solo le aziende "matrimoniali" che sono riuscite a durare. Non quelle che, come le unioni affettive, sono scoppiate».
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