Cronaca locale

Amore e odio Ecco la Milano degli scrittori

È brutta non c’è un fiume, né una collina Niente da vedere

La amano e la odiano, la rifuggono e non possono farne a meno. Questa è la Milano vissuta e subita da chi ha fatto della scrittura un mestiere, o comunque più di un passatempo. Sembrerebbe logico pensare che per scrivere libri occorrano luoghi più tranquilli, il che è anche vero, ma è altrettanto vero che per pubblicarli, i libri, bisogna stare al posto giusto nel momento giusto.
«A Milano ci vivo, ma esco pochissimo, e perlopiù nel mio quartiere, dove ci sono i negozi e una libreria di fronte a casa», dice Camilla Baresani, autrice tra l'altro del romanzo L'imperfezione dell'amore (Bompiani), ambientato tra Milano e Mosca. «Non faccio molta vita di società, non esco di sera, non ho l'auto. Milano è comoda dal punto di vista geografico. In un attimo sono alla stazione o all'aeroporto. Ma non è Roma, dove una pausa pranzo la puoi fare all'aperto e dura tre ore. Qui uno ci deve stare perché ha le occasioni per lavorare nei giornali e i contatti con le case editrici. Milano è brutta (la zona della stazione è degradata da sempre), non c'è un fiume, né una collina, niente da vedere. Tuttavia Milano e Roma sono i posti dove le cose accadono. Perciò è importante esserci, anche fisicamente».
In alternativa si può vivere in campagna, ma non troppo distante. Come fa per esempio Valter Binaghi, autore del recente I tre giorni all'inferno di Enrico Bonetti, cronista padano (Sironi). «Io sono provinciale per vocazione. Nato in provincia, ho vissuto un paio d'anni a Milano, all'università, e me li sono goduti. Ma nel mio sangue ci sono ritmi diversi. Ho bisogno di più spazio, più verde e più silenzio. È la dimensione del paese, dove la gente si conosce. Io trovo esasperante la solitudine nella moltitudine».
Tuttavia anche l'hinterland di Binaghi, che abita a Busto Garolfo, dunque fra l'Olona e il Ticino, «una volta era pieno di cortili, adesso è un paesotto pieno di villette a schiera, abitate da gente che viene da fuori. Le palazzine e le villette hanno preso il posto del campetto sportivo e di una tessitura, la Tosi. Siamo alla deindustrializzazione e a una certa paranoia, indotta dai media, sulla sicurezza». Insomma, non basta allontanarsi di pochi chilometri per trovare la pace.
I difetti di Milano li vede anche chi viene dall'estero, come Patrizia Debicke van der Noot, che passa molto tempo a Clervaux, nelle Ardenne (Lussemburgo): «Intorno alberi, alberi, foresta, verde, pace tranquilità, ordine! Forse troppo talvolta, ma ideale per scrivere». E lì infatti ha scritto il suo romanzo storico L'oro dei Medici (ed. Corbaccio), pubblicato, guarda un po', da un editore milanese. Ecco allora che l'autrice ha finito per diventare «una pendolare europea, sempre di passaggio». E Milano le appare una città che «più di altre si divide in zone, in quartieri. Tanti piccoli villaggi, o privilegiati o trascurati. I maggiori difetti: la confusione, il traffico, la noncuranza». Confessa «di adattarsi male all'aria da respirare», e che non le è chiaro se «i giovani la amano o la subiscono», fatta salva la straordinaria «capacità di adattamento dei bambini». Nel gioco della torre, comunque, si tiene il Lussemburgo. È invece un «milanocentrico molto convinto» lo scrittore, giornalista e gastronomo Allan Bay, inventore del personaggio di Gabo, cuoco detective (con Manuela Vanni, ed. Salani). «Adoro l'asfalto e il cemento. Città vuol dire civiltà. E poi qui ci sono le biblioteche, i cinema, le librerie. La campagna va bene tre giorni. Io teoricamente potrei anche vivere nell'Oltrepò Pavese, in realtà non ci resisto più di tre giorni. E poi in campagna non c'è la banda larga di Internet. Chi fa il nostro mestiere sa bene che, senza, non può più stare».
Radicale come sempre Alessandro Golinelli che il suo ultimo romanzo, Le rondini di Tunisi (Tropea) è andato a scriverlo in Nordafrica. Poi però è tornato a Milano, dove lavora in televisione. «Si può scrivere ovunque, ma se sei uno scrittore italiano e vuoi avere il polso del tuo Paese, non puoi startene troppo lontano. Devi vivere in una grande città.

E Milano, nel bene e nel male, è una città all'avanguardia».

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