M a esiste un pensiero allaltezza della crisi? Domanda fuori posto, per tanti. Cosa volete che centri e che possa incidere levanescenza del pensiero rispetto alla tempesta finanziaria che piega lOccidente, leconomia e la politica? Il pensiero è inerme e marginale, conta poco e si occupa daltro, ha smesso di dedicare teorie critiche alla società, almeno dai tempi della Scuola di Francoforte, salvo scarsi e isolati pensatori o correnti ormai spente, dalla Nuova Destra alla nuova sinistra, più territori intermedi in tema di comunità, ecologia, antiutilitarismo. Né sono apparsi vigorosi pensatori liberali e liberisti allaltezza del mercato e dei suoi ultimi travagli. Un tempo, seguendo Hegel, si diceva che la filosofia è il proprio tempo appreso tramite il pensiero. Oggi la filosofia non ha tempo, e nel tempo non cè spazio per il pensiero. Questassenza del pensiero davanti alla crisi sembra ormai inevitabile e trascurabile, comunque nellordine delle cose e nello spirito del nostro tempo.
Eppure ogni grande evento del passato, dalle guerre nazionali, civili e mondiali alle rivoluzioni sociali, fino alla crisi energetica dei primi anni 70, ha sempre avuto un pensiero che lo precorresse, lo interpretasse o che lo rispecchiasse. In altre epoche, accanto alla crisi, ci fu un pensiero della crisi, una letteratura della crisi. Ora, invece, il silenzio regna sovrano e non si accenna a nessun pensiero critico. Solo qualche brandello di sociologia economica, come lidea della decrescita felice di Latouche, che è spesso recepita come una rielaborazione del lutto: finita lepica del consumismo, dobbiamo farcene una ragione. Ma è un discorso sociologico, economico - come del resto lossessivo refrain dell'era liquida di Bauman; non si avverte il respiro di un pensiero possente che si interroga dentro e oltre la crisi. Un pensiero politico, disceso da una filosofia.
Si ritiene ormai insuperabile lassetto mondiale presente, il dominio planetario della tecnica e del mercato? Si ritiene che questo capitalismo sia definitivo, che questa democrazia sia definitiva, che questEuropa e questo Occidente siano definitivi, che legemonia americana sia definitiva e che tutto sia irreversibile? O formuliamo la riflessione inversa: chi si azzarda a mettere in discussione questo assetto, questo sistema, questo quadro economico e istituzionale? Scontammo fino a trentanni fa la pretesa che la filosofia si risolvesse nella prassi, che il pensiero ripiegasse nellideologia, che la cultura politica si esprimesse nellutopia rivoluzionaria e rovesciasse il mondo. Ora scontiamo allopposto lanestesia totale delle passioni e la lobotomia del pensiero critico; altro che utopie, non cè nemmeno la domanda se sarà possibile un diverso presente. Lunica evenienza che potrà modificare la nostra vita presente è considerata nel segno della catastrofe: linvasione degli affamati del sud e dei prodotti asiatici, la paura per la bomba demografica, la paura del contagio, la sciagura ambientale, insomma il crollo del sistema. Lidea che ci possa essere una modifica non drammatica ma positiva e perfino volontaria degli assetti mondiali non è più considerata. Perché la storia è fuori servizio, ora cè il corso della tecnica, il decorso della borsa o lavvento dellApocalisse.
E allora chiedo: dovè il pensiero che può rimettere in moto la storia, un pensiero pubblico che può dare coscienza critica di quel che accade e prospettare la possibilità di modificarli? Magari anche un pensiero profetico, religioso, esistenziale, capace di prefigurare altri percorsi o di interpretare in modo originale quel che ora sta accadendo, ipotizzando sbocchi diversi. Non riesco a considerare eterni e intoccabili questo capitalismo, questa democrazia, questa europa, questo Occidente e legemonia americana, che giudico finita con il secolo scorso. Non esistono mete definitive finché si vive. E non esistono assetti indiscutibili e immutabili finché siamo tra uomini e non tra macchine o tra dei. Il nostro tempo ha bisogno del suo Nietzsche e del suo Marx, del suo de Maistre o del suo Tocqueville. Un pensiero che smascheri dove si è ricacciata la religione, in quali forme oggi si travestono gli dei, i miti e il sacro: nella borsa, nel sesso, nei consumi, nella tecnica.
Ho invece limpressione che il pensiero abbia smesso di cimentarsi con la propria epoca, seppellendo quel che diceva Hegel. È già in crisi di suo per occuparsi della crisi epocale. Il pensiero ripiega sconfitto in territori mentali e analitici, diventa ascetico, asettico o introverso, oppure si limita ad assecondare la vita corrente. In Italia il mortorio è assordante. Non cè nulla che vagamente somigli alla cultura come sintomo della civiltà.
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