Anche la pandemia è burocratica. E Frank Herbert sa come batterla

Non solo "Dune". Il grande scrittore ha dato il meglio anche nel genere post apocalittico. E "Il morbo bianco" aiuta a capire cosa stiamo vivendo

Anche la pandemia è burocratica. E Frank Herbert sa come batterla

Frank Herbert (1920-1986) è noto soprattutto per il ciclo di Dune: una specie di Game of Thrones ambientato nello spazio, in cui al posto del trono di spade c'è il monopolio nel commercio della spezia, la materia prima sulla quale si fonda l'economia dell'intera galassia. Qualcuno ricorderà il film di David Lynch, un mezzo fiasco. Qualcuno aspetterà il film di Denis Villeneuve, uscita prevista per ottobre 2021 per evitare la pandemia, anche se la pellicola sarebbe già pronta.

Herbert però coltivava un altro filone: Esperimenti e catastrofi, come recita il titolo dell'Oscar Draghi Urania uscito nel periodo della prima pandemia e dunque «novità» a quasi tutti gli effetti, vista anche la mole: 824 pagine, nessuna sprecata (Mondadori, euro 25). È un volume bello, consigliato a tutti, tranne forse a chi soffre di ansia, che raccoglie tre romanzi: L'alveare di Hellstrom (1972), Esperimento Dosadi (1977) e Il morbo bianco (1982). Difficile trovare un autore così in sintonia col presente: chiaramente filo-capitalista, con uno spiccato interesse per l'ecologia e con un altrettanto spiccato odio per la burocrazia. L'alveare di Hellstrom racconta della folle utopia del dottor Hellstrom: costruire una società sotterranea che prenda a modello gli insetti. Tutti uguali, tranne una élite di «consapevoli», tutti disposti a dare la vita per difendersi, tutti condizionati per ottenere una perfetta divisione del lavoro. È una satira (dell'orrore) del sistema sovietico dove gli individui valgono quanto gli scarafaggi.

Esperimento Dosadi punta il dito contro il concetto di controllo sociale: non è controllo, è coercizione, e non funziona mai. L'eccesso di controllo moltiplica le cose da controllare e alla fine si trasforma in caos.

Il morbo bianco... Beh, prendete uno scienziato assetato di vendetta che prepara un virus dai sintomi lievi per gli uomini ma letali per le donne. Immaginate poi che nessuno riesca a contenere l'infezione. Basta poco tempo per sviluppare una pandemia mondiale. Andrà tutto bene? No. Innanzi tutto, l'umanità, senza donne, corre dritta verso l'estinzione. Le poche rimaste sono al centro di scontri feroci. Inoltre, la diffusione della malattia e la ricerca della cura occupano solo una parte del romanzo. Herbert infatti si concentra anche sulla reazione del potere davanti a una terribile minaccia. A questo punto ogni società reagisce diversamente. Alcune si dissolvono, altre cercano di reagire imponendo un controllo ferreo sui cittadini, altre ancora si chiudono completamente. Altri scrittori si sono cimentati con questo argomento: Jack London (La peste scarlatta), Richard Matheson (Io sono leggenda), Stephen King (L'ombra dello scorpione). Non è forse post apocalittico anche Dissipatio H.G. di Guido Morselli? Chi si aspetta pura avventura resterà deluso da Herbert. La sua carta vincente sono le fulminanti digressioni politico-morali. Come questa: «Una caratteristica fondamentale di un corpo elitario è la sua suscettibilità ai più potenti.

Il potere elitario è naturalmente attratto da una gerarchia del potere e si inserisce obbediente in quella che promette i maggiori benefici personali». Adesso sappiamo qual è il punto debole della buro-tecnocrazia che abbiamo visto in azione in questi mesi.

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