Anche le pastorelle in burqa nel presepe dell’istituto-suk

RomaA maggio dello scorso anno sembrava destinata a perdere l’unica traccia di italianità, il nome: Carlo Pisacane. L’eroe risorgimentale stava per essere soppiantato da Tsunesaburo Makiguchi, fondatore della scuola buddista della Soka Gakkai. Poi non se ne fece nulla, a causa delle polemiche sollevate, e Pisacane restò lì, a fare da anacronistico bastione di nazionalismo nella scuola più straniera di Roma, forse d’Italia. Del resto nell’istituto di primo grado di Tor Pignattara, quartiere alla periferia est della capitale, ad ascoltare il primo suono della campanella dello scorso settembre sui banchi c’erano sei bambini italiani su 180 nelle elementari e 12 su 110 alla materna. Cinesi, bengalesi, polacchi, romeni, colombiani e filippini, perfino qualche italiano: un minestrone di culture dal quale sono usciti negli ultimi anni pasticci come il presepe con le donne in burqa al posto dei pastori e un minareto sulla capanna. Religiosità transgenica.
Non sapendo come fare per arginare l’emorragia di alunni italiani, trasferiti dai genitori in altri istituti, qualche tempo fa si è deciso di accorpare dal prossimo anno scolastico la Pisacane con la vicina scuola media Pavoni (solo, si fa per dire, 28 stranieri su cento), creando l’istituto Laparelli, e annacquando almeno aritmeticamente la presenza di stranieri.

Comunque di molto superiore al tetto del 30 per cento fissato dal ministro Gelmini. «Per noi sarà un problema, ma lo potremo affrontare solo da settembre, quando assumerò anche la dirigenza della scuola Pisacane», dice Flora Longhi, futura dirigente della Laparelli.

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