Fabrizio Graffione
«Avevo 9 anni. Ero in viaggio per gli Stati Uniti con i nonni. I miei genitori e una sorellina erano già partiti. Avevano venduto tutto, le bestie, la cascina, gli attrezzi da contadini. Sognavano l'America. Dalle campagne di Ivrea in treno fino a Genova. Poi insieme ad altre 1706 persone l'imbarco sull'Andrea Doria. Viaggiavamo in terza classe. Eravamo povera gente. Di quella notte ricordo le grida, la confusione, le luci che si accendevano e si spegnevano. L'acqua e l'olio che rendevano scivolosi i ponti di poppa. Le scale di corda per riuscire a metterci in salvo. Gli angeli custodi con indosso la casacca da marinaio. Ci facevano andare per primi. Si salvarono quasi tutti. I 46 morti nella collisione con la Stockholm furono in gran parte quelli che dormivano nelle loro cabine, squarciate dalla prua antighiaccio della motonave svedese». Racconta. Concede interviste. Parla con i comandanti Eugenio Giannino e Guido Badano, gli ufficiali sopravvissuti alla tragedia dell'Andrea Doria al comando di Piero Calamai. Poi, nella sala auditorium del Museo del mare a Genova, denuncia. La colpa era della Stockholm.
Pierrette Domenica Simpson, la notte del 25 luglio 1956 era una bimba. Oggi ha quasi sessantanni. Una signora alta, distinta, carina, vestita elegantemente. Fa la professoressa di francese a Detroit, dove la famiglia si era sistemata dopo il naufragio. Ha passaporto statunitense. Parla quattro lingue. Con l'aiuto di storici, esperti, appassionati di relitti a stelle e strisce, ha scritto «L'ultima notte dell'Andrea Doria» edito in Italia da Sperling e Kupfer. È un racconto dei sopravvissuti del più spettacolare salvataggio della marineria mercantile del ventesimo secolo. È il primo libro di denuncia, scritto Oltreoceano, sulle responsabilità degli svedesi. Non soltanto le storie dei passeggeri, ma anche le testimonianze degli ufficiali dell'equipaggio, le opinioni di vecchi lupi di mare, le cartine, le rotte, le mappe e le fotografie che spiegano come il comandante calami e suoi ufficiali agirono giustamente e come furono evidenti le negligenze dell'equipaggio svedese. Una libro denuncia che riapre il caso e le ferite della marina mercantile italiana perché, qualche mese dopo quel tragico luglio, non si fece giustizia. Gli italiani furono incolpati dagli americani. Gli svedesi furono praticamente assolti. Alla fine le compagnie di assicurazioni trovarono un accordo. Una transazione che mise in mezzo Calamai e suoi ufficiali. Dopo mezzo secolo il primo libro a stelle e strisce rende loro giustizia. Finalmente. Come ha sottolineato ieri alla commemorazione della tragedia il curatore del museo di Costa entertainment Pierangelo Campodonico, figlio di una vedetta di bordo dell'Andrea Doria.
«Occorre distinguere in quattro fasi - spiega Campodonico - la prima è quello che successe, nella nebbia estiva vicino al faro nave di Nantucket, prima delle 23 del 25 luglio. Quindi tra le 23 e le 10 del mattino successivo quando l'Andrea Doria si inabissò definitivamente. Poi le fasi del processo. Quindi le polemiche e le conseguenze che ne derivarono. I dettagli tecnici dimostrano come il comportamento degli ufficiali e dell'equipaggio italiano fosse stato professionale e corretto. L'abbandono della nave fu condotto con grande prudenza e rimane, ancora oggi, una delle grandi operazioni di salvataggio della storia.
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