Roma - Nel profluvio di dichiarazioni e commenti non sempre indispensabili, lui che forse aveva davvero titolo a parlare è stato zitto. È senatore a vita e conoscitore come pochi altri sia della storia repubblicana vissuta da protagonista sia dello Stato vaticano. Eppure da oltre un mese, da quando cioè sono cominciati a farsi più duri ed espliciti gli attacchi alla Chiesa cattolica, Giulio Andreotti è stato zitto. Una scelta che certo dev’essergli pesata e che ufficialmente non ha ancora rinnegato. Nessuno è infatti ancora riuscito a strappargli una dichiarazione sulle scritte di minaccia al presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco apparse sui muri di mezza Italia o sulle accuse lanciate contro il Pontefice. Entrambi colpevoli di «lesa laicità» per aver difeso i valori della famiglia.
Ma non straparlare è un conto, far finta di niente, un altro. Così il Divo Giulio è uscito allo scoperto con un editoriale su 30 Giorni, la rivista di cui è direttore. E senza mezzi termini vuota il sacco, spiegando anche le ragioni del suo prolungato silenzio: «Agli anonimi autori di scritte contro l’arcivescovo Bagnasco e agli squallidi e presuntuosi custodi di una laicità che nessuno di noi contesta - attacca l’ex premier - i doveri di carità cristiana ci impediscono di replicare come verrebbe spontaneo». Pena per chi agisce nel buio, dunque. Ma ce n’è anche per chi si muove sul palcoscenico della politica. E infatti Andreotti sottolinea come «nel corso della liturgia esequiale di Mosca mi è venuta alla mente la petulanza di un dirigente socialista nostrano che ogni settimana tuona in televisione contro una pretesa violazione della laicità dello Stato.
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