diSe devo essere sincero - e perfino spudorato - io, che ho concepito la mostra dei Tesori d'Italia, nel Padiglione Eataly, all'Esposizione universale di Milano, per poter vedere o rivedere quadri remoti e difficili provenienti da sedi pochissimo frequentate, esattamente all'opposto di quello che mi han rimproverato alcuni sfaccendati, di sradicare le opere dai musei, mi sarei accontentato di averne una per mia segreta felicità. Questa esperienza ha un valore pedagogico e di riabilitazione di opere dimenticate. Chi conosceva il Ciarlatano di Bernardino Mei, riparato nelle collezioni del Monte dei Paschi a Siena? E chi il meraviglioso Concerto di Pietro Paolini della collezione Micheli? La pala più bella e più barocca di Francesco Solimena viene da Fiumefreddo Bruzio, nella cui disertata chiesa sta a quattro metri di altezza, il capolavoro metafisico di De Chirico, dipinto a Ferrara nel 1917, sta nella più riservata e inaccessibile collezione di Torino. E così via.
Ma qual è quell'uno per il quale avrei dato tutto? Convocato e ottenuto, dopo molte resistenze, dalla chiesa di Sant'Imerio a Cremona (sicuramente mai visitata da vedove querule, come Carlo Ginzburg, Tomaso Montanari, Adriano Prosperi): il Riposo nella fuga in Egitto di Luigi Miradori, detto il Genovesino. Mentre scrivo sono davanti al dipinto che non teme il confronto con il più bel Riposo della storia: quello di Caravaggio alla Galleria Doria Pamphilij, quadro sublime, per certi versi inarrivabile, ma rilevatore di una condizione sentimentale che sembra privilegiare la sfinita eleganza dell'angelo che turba i sogni e le veglie di San Giuseppe. Nel dipinto di Genovesino c'è di più. Alle spalle del gruppo santo, in distanza, racconta la causa della fuga: il terrore di Erode che ha ordinato la strage degli innocenti. Bambini e madri cadono nel vuoto, come dalle due torri l'11 settembre. In alto in alto un gruppo di angeli volteggia, accorrendo non in soccorso, ma a consegnar diplomi, in forma di fiori, corone e palme del martirio. Un angelo distratto, a sinistra, si perde e si tuffa tra gli alberi. Altri, in alto, sulle architetture, si trastullano pigri. In primo piano, al riparo di un arco romano, nascosti e dolenti, Maria e Giuseppe con il Bambino, protetti da angeli (e angele) dalle morbidissime e variopinte ali piumate. Sulla destra l'asino con la testa nel sacco di biada che gli porge un angioletto che ci guarda, sedendo sulla pietra nella quale troviamo il cartiglio con la firma: Aloysii Mirador Jenuensis/ Pencillioris Lu..us/ 1651 .
Il bellissimo particolare dell'animale in riposo, che si ritaglia come una silhouette contro il fondo della strage, è una delle pagine più belle della pittura del '600. All'analisi del gruppo principale, prevale la sensazione di una tristezza espressa nel volto del San Giuseppe, e anche nello sguardo, umanissimo e preoccupato, della madre, nonostante il conforto degli angeli. Questa atmosfera di malinconia è la cifra dominante del pittore e delle sue frequenti Vanitas.
Non si conoscono la data e il luogo di nascita dell'artista. Sappiamo che nel 1627 si sposa a Genova. Già nel 1632 arriva in Lombardia e a Piacenza. Di quel periodo, verso il 1635, si possono considerare due dipinti della Galleria nazionale di Parma, una scena di sacrificio e l' Adorazione dei Magi . Dopo la stagione piacentina, il Genovesino si trasferisce a Cremona, dove si svolge la sua prevalente attività. La sua prima opera conosciuta di questo periodo è un' Adorazione dei Magi , firmata e datata 1639, con citazioni da incisioni nordiche e memorabili conigli in primo piano. Nel 1640 dipinge la pala con la Madonna del Carmine per la chiesa parrocchiale di Castelleone. Per gli olivetani di San Lorenzo, nel 1642, concepisce la Nascita della Vergine e la Decollazione di San Paolo , ora al museo Ala Ponzoni di Cremona. Dello stesso tempo è L'Angelo custode che indica al devoto la Trinità e le anime del purgatorio , ora a Bucarest. Del 1643 è la Circoncisione , già Bizzi, con un originale scenario architettonico d'ispirazione veronesiana. Potente e assoluto nella forma è il Miracolo del beato Bernardo Tolomei , ora nella chiesa di San Siro a Soresina. Nella cattedrale di Cremona, Genovesino, dopo l'incendio della cappella di San Rocco, nel 1644 dipinge nove tele di finissima fattura.
Genovesino è pittore curioso e intimamente metafisico. Lo si vede nel Ritratto di Sigismondo Ponzone , quattrenne, dipinto nel 1646, di singolare impronta velazqueziana, commissionato dal padre Niccolo. Il dipinto ha il divertimento delle agudezas spagnole. Nel 1647 Genovesino, su commissione del francescano Vincenzo Balconi, affronta il soggetto epico della Moltiplicazione dei pani e dei pesci : una gigantesca tela di 477 x 764 cm per il presbiterio della chiesa di San Francesco, ora nel palazzo comunale di Cremona, con il significato allegorico dell'esaltazione della virtù della carità e della pratica dell'elemosina. Per lo stesso committente e per la stessa sede dipinge l' Ultima cena e il Miracolo della mula di Sant'Antonio . In questo momento felice, quando, dopo altri morti, nasce il figlio Antonio Francesco, Genovesino dipinge il Riposo nella fuga in Egitto per la chiesa di Sant'Imerio.
Nel 1652, per la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro, dei gesuiti di Cremona, elabora Il martirio e La gloria di Sant'Orsola con le vedute di paesaggi a volo d'uccello. Nello stesso anno la Madonna del rosario della chiesa parrocchiale di Casalbuttano. La sua produzione si intensifica con l' Ultima cena per la chiesa di San Siro a Soresina; con l' Annunciazione di Santa Maria dei Sabbioni a Cappella Cantone, firmata e datata 1654; con la Santa Lucia di Castelponzone. Del 1654 è la pala con San Nicola di Bari , ora a Brera, che, come osserva Alessandro Serafini, «mostra in sintesi tutte le caratteristiche della pittura del Miradori: il gioco del colori accesi e dei contrasti di luci, il realismo dei volti ed espressioni... l'amore per concettismo erudito... il sapore aneddotico e quasi comico di certe figure - i bambini immersi nella tinozza con la salamoia -, fino all'amore per la rappresentazione della sua città, quella Genova che appare ancora una volta vista dall'alto, con il suo porto, la lanterna e la costa che fugge verso la valle del Polcevera».
Sono le ultime prove del pittore,
che muore intorno ai cinquant'anni, dopo essere stato nominato priore della Confraternita del Santissimo Sacramento della chiesa di San Clemente a Cremona. Muore il 24 maggio del 1656. Genovesino, grande pittore lombardo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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