Quando la mente vola sulla Luna immaginando quello sbarco da brivido di 40 anni fa, sono in pochi a pensare che quel giorno, lassù, nel cielo, alla guida del rozzo modulo di comando Columbia, scelto per le sue straordinarie qualità di pilota, ci fosse un romano. O meglio: un americano di Roma. Lo statunitense Michael Collins, la notizia è sconosciuta ai più, è nato infatti nella capitale, in via Tevere 16, fra via Po e Corso dItalia, a due passi da Villa Borghese. È nato il 31 ottobre dello stesso anno, il 1930, dei suoi compagni americani di missione, Neil Armstrong, originario di Wapakoneta, una ordinatissima cittadina dellOhio, e Edwin Eugene Aldrin, originario di Montclair, nel New Jersey, soprannominato Buzz. Allora il papà di Michael prestava servizio presso lambasciata statunitense. E il piccolo Collins trascorrerà nella capitale alcuni anni. Michael si formò poi allAccademia militare degli Usa, diventando pilota collaudatore presso la base aerea Edwards, in California. Nel 1963, quindi a 33 anni, fu selezionato per entrare nel gruppone iper-competitivo degli astronauti. Tre anni più tardi portò a buon fine il suo primo volo nel vuoto con la missione Gemini 10, ed effettuò dei lavoretti, passeggiando per circa 40 minuti in assenza di gravità e di suoni, al di fuori della capsula. Nel 1968 subì un intervento chirurgico, perché unernia rischiava di tenerlo incollato sulla terra assieme ai suoi sogni. Poi limpresa del trio. A 39 anni suonati, anziani per eccellere in qualsiasi sport, a parte le bocce, i tre astronauti dellApollo 11 si staccarono dal pianeta.
Era il 16 luglio del 1969, un mercoledì. Quanto aveva promesso John Kennedy, e pianificato molti anni prima il tedesco Wernher von Braun, classe 1912, padre del programma Apollo, stava per essere realizzato e scritto sui libri di storia. Tre erano stati sparati sulla Luna. Il romano Collins, che non toccherà mai il suolo grigio e butterato del satellite, svolse un ruolo di notevole sostanza e di zero facciata, da cui dipese la riuscita della conquista. Era lui al comando del Columbia, da cui, alla tredicesima orbita, si staccò il Lem Aquila, Eagle, per iniziare la storica discesa verso lignoto. Toccando la terra della Luna, Armstrong enunciò la frase preparata a tavolino dai comunicatori Nasa: «Un piccolo passo per luomo ma un passo gigantesco per lumanità». Michael Collins, che inanellava giri intorno al satellite, fu descritto come la persona più distante di sempre, nel senso letterale del termine, dai terrestri. Era anche solo, mentre i due colleghi zompettavano goffi sulla sabbia del Mare della Tranquillità. A Collins si deve la manovra di riaggancio, eseguita a regola darte e con una freddezza spaziale, per la verità poco tipica dei romani. Almeno stando agli stereotipi. A lui, come ai due americani, è dedicato un cratere vicino al sito dallunaggio. Una targa, adagiata sulla Luna con le loro firme, assieme a quella del presidente Nixon. La missione terminò il 24 luglio con lo splashdown nelloceano Pacifico. Fu, quello, lultimo ammaraggio per lastronauta Collins che, da «terrestre», ha tenuto e tiene un low profile sul presente e sul passato. Nel 1970 si dimise dalla Nasa e dalla Us Air Force.
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