Un anno dopo, giù dalla gru: in 60 al lavoro alla Innse

La decisione del magistrato del lavoro di Potenza che obbliga la Fiat a riassumere i tre operai che essa aveva licenziato per giusta causa nella fabbrica di Melfi mette a repentaglio gli investimenti della Fiat in Italia e in particolare nel Mezzogiorno, perché né in Polonia, patria di Solidarnosch né a Detroit, patria del più antico sindacato dell’auto, un simile evento sarebbe potuto accadere.
La sentenza è sballata. Ma chiama anche in causa la anomalia del nostro sistema giudiziario, che annovera un giudice monocratico, cioè che decide da solo, per le controversie di lavoro, in deroga ai due principi dello stato di diritto, per cui i tribunali sono un collegio di tre o più giudici e non vi sono tribunali speciali per particolari materie. La sentenza, a quanto sembra, non ravvisa in questo licenziamento una giusta causa, ma un comportamento antisindacale. Siamo di fronte a una interpretazione del diritto propria della sinistra giuridica, una corrente purtroppo autorevole in Italia, nelle Università e fra i magistrati, per cui il diritto, compreso quello penale, si interpreta liberamente, anche con criteri politico ideologici.
Non so se a Fini e ai suoi questa concezione del diritto piace. Io ne provo disgusto perché mi ricorda i testi del diritto nazista secondo cui il diritto si interpreta facendo riferimento allo spirito della nazione tedesca. Il fatto per cui i tre lavoratori, due sindacalisti e un non sindacalista, furono licenziati consiste nel fatto che bloccarono manualmente un carrello robotizzato, che riforniva di materiali degli operai che non avevano voluto scioperare. La Fiat ha licenziato i tre per sabotaggio agli impianti e alla produzione. Il comportamento antisindacale consisterebbe nel fatto che i tre stavano bloccando il lavoro di chi non era d’accordo con loro. E quindi secondo la tesi del magistrato di Potenza i sindacati e i lavoratori che ne eseguono le direttive hanno diritto di impedire agli altri lavoratori di esercitare il diritto di lavorare e di essere pagati per questo. E un sindacato ha diritto di sabotare gli impianti dell’azienda per bloccare la produzione che essa svolge con i lavoratori che non aderiscono all’agitazione che esso ha deciso.
Questo ragionamento è aberrante, perché lo statuto dei lavoratori, nella sua intestazione, ha i principi di libertà: quella di tutti non di un singolo sindacato. É noto che le agitazioni in questione non erano state indette con l’accordo di tutti i sindacati, ma dalla Cgil in posizione minoritaria. Dalla sentenza del giudice di Potenza si desume che è un comportamento degno di tutela giuridica quello di un sindacato, che con l’uso di mezzi violenti, consistenti nel sabotare i macchinari dell’impresa, ostacola degli operai che non solo esercitano il proprio diritto al lavoro, ma il proprio diritto di tenere comportanti conformi alle decisioni di sindacati a cui essi aderiscono.
In altre parole, per il magistrato di Potenza, ci sono due tipi di libertà sindacali: quelle dei sindacati di serie A che adottano mezzi violenti per ottenere il successo dei propri scioperi e quelle dei sindacati di serie B che non scioperano e che, comunque, lasciano all’impresa il controllo della produzione. Il comportamento del sindacato di serie A , va tutelato, quello del sindacato di serie B , va ostacolato. E pertanto se l’impresa licenzia per giusta causa chi ha bloccato il carrello automatico, perché questo è un sabotaggio al lavoro, il giudice del lavoro nega l’esistenza della causa. Per lui questo fatto non è oggettivamente un sabotaggio, in quanto va interpretato come espressione della liberta sindacale «buona», quella dei sindacati di serie A, espressione della lotta dei lavoratori contro i manager che rivendicano il diritto al controllo della produzione.
Ma i manager che come Marchionne, vogliono comandare nella propria impresa non sono gli scherani di padroni oppressivi. Sono i responsabili del successo dell’impresa.

Devono assicurare la remunerazione degli investimenti e ricavare abbastanza soldi per pagare i lavoratori e mantenere l’occupazione. Ed ora ci vorrà tutta la buona volontà di Marchionne e dei rappresentanti dei sindacati liberi nonché del ministro del Lavoro Sacconi per riprendere in mano la situazione.

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