Anno zero, più sbadigli che scoop e adrenalina

Mentre fioccano le inevitabili interpretazioni su come si debba valutare in termini di audience il ritorno di Michele Santoro con il suo Anno zero (fa più chic avere meno pubblico di Claudio Amendola o averne un po' di più di quello di Enrico Papi?) vale forse la pena ragionare a mente fredda sul tipo di programma che ci ha offerto, dopo quattro anni di assenza dalla ribalta. Chi ha seguito Santoro nella sua carriera sa che esistono almeno due «Michele chi?»: il conduttore e l'autore. E non sempre queste due anime hanno viaggiato consapevoli l'una dell'altra e in sintonia tra loro. Il conduttore è stato spesso fazioso, rissaiolo, mistificatore, abile fin dalle prime Samarcande nel creare elettricità e pathos all'interno degli studi televisivi o nelle piazze da cui era collegato nel corso delle puntate, con conseguenti e gratificanti strascichi polemici sui mass media e nei corridoi della politica a trasmissione ultimata. L'autore, confezionando reportage e inchieste di ottima fattura professionale come ad esempio quelle di Sciuscià, è stato invece un innovatore in un genere televisivo sostanzialmente osteggiato da qualunque parte politica, perché quando mostri ciò che non va in una qualsiasi realtà sociale c'è sempre qualcuno che, a seconda dei propri orientamenti, ti rimprovererà di non aver guardato anche in altre direzioni. Con Anno zero Santoro, almeno in questa prima puntata, sembra aver fatto una precisa scelta di campo privilegiando il suo ruolo di autore. Via i politici, confinati come Bertinotti a un'intervista nel finale delegata a Rula Jebreal, quasi a voler segnare una distanza personale con il Palazzo; via ogni possibile occasione di scontro dialettico originata dai contraddittori, niente collegamenti esterni, molta cura nel condurre la trasmissione nel modo più ordinato e razionale possibile, in linea con il disegno narrativo che prevedeva puntuali rimbalzi tra la messa in onda delle inchieste filmate e la consequenziale ripresa del filo del discorso all'interno dello studio. Un cambiamento di registro non da poco, per chi ci aveva allenato a continui e frenetici cambi di tono e direzione all'interno di una stessa puntata, con argomenti e sollecitazioni condannati ad essere spesso abbandonati non appena si presentavano nuove provocazioni e stimoli emotivi.

Anno zero paga inevitabilmente un tributo a questo suo provvisorio indirizzo: perde in elettricità e tensione, concede qualche sbadiglio là dove Santoro ci aveva abituati all'adrenalina continua, ma guadagna sotto il versante del respiro giornalistico. Il punto di vista di Santoro sulla realtà rimane sempre forte e assai opinabile. Ma, almeno per una volta, l'autore trova un conduttore che parla la sua stessa lingua.

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