Antifascismo, rendita comunista

Giancristiano Desiderio

Ma chi è antifascista è sempre e comunque democratico? No di certo. Anzi, a volte può accadere che l'antifascista sia più fascista dei fascisti. È un cortocircuito tipico della democrazia italiana che è nata sì dalla resistenza (in verità è nata grazie agli Alleati), senza però debellare dentro di sé il pericoloso virus del totalitarismo rosso.
Norberto Bobbio, che non stava a destra, riassumeva così: «Tutti i democratici sono antifascisti, ma non tutti gli antifascisti sono democratici». Si prenda il caso di Marco Rizzo (il quale al Capoccione somiglia anche fisicamente): si oppone anima e corpo alla partecipazione di Fausto Bertinotti alla festa dei giovani di An del 16 settembre e ha fatto sapere che per quello stesso giorno lui e il Pdci organizzeranno una giornata così intitolata: «Ora e sempre Resistenza, l'attualità dell'Antifascismo». Che dire?
Si potrebbe citare l'Ideale Principale di Marco Rizzo, Carletto Marx il quale diceva che «quando la Storia si ripete, la seconda volta è sempre una farsa». Neanche la barba di Marx, però, poteva immaginare che le repliche sarebbero andate avanti a oltranza.
Anche la farsa, se fatta ad arte, può avere una sua dignità. Una buona commedia all’italiana non si nega a nessuno. Invece, qui siamo al grottesco. Ed Ennio Flaiano è meglio dell'hegeliano di Treviri: «La situazione è tragica, ma non è seria».
Bertinotti è accusato dai comunisti italiani Rizzo e Diliberto di essere un «decomunistizzatore» (chiedo scusa per l'orrenda parola, ma è farina del sacco comunista), mentre loro proclamando la parola d'ordine «ora e sempre Resistenza, ora e sempre antifascismo» dimostrano di essere comunisti con i baffoni.
Naturalmente, questa guerra tra comunisti di seria A e serie B è fatta esclusivamente a fini di propaganda interna: il Pdci tenta di rosicchiare consensi al Prc sfruttando la posizione non comoda di Bertinotti che si barcamena tra l'identità antagonista di Rifondazione e le esigenze istituzionali della presidenza della Camera.
Una volta il comunismo, come diceva proprio Marx nella celebre undicesima Tesi su Feuerbach, doveva cambiare il mondo; è finita, invece, che il mondo ha cambiato, sia pure a fatica e con costi umani altissimi, il comunismo. Ma non in Italia. Qui il comunismo dei comunisti italiani e dei decomunisti di Rifondazione serve ancora. A cambiare poltrona e a contendersi le percentuali elettorali. L'attualità dell'antifascismo senza fascismo nell'interpretazione che ne danno i comunisti senza comunismo è tutta qui: «Levati tu che mi ci metto io».
Giuseppe Prezzolini disse: «Maledetto Mussolini, ci ha dato vent'anni di fascismo e vent'anni di antifascismo». Magari, magari. L'antifascismo è una rendita politico-finanziaria troppo preziosa per gli anticapitalisti di casa nostra: altro che vent'anni, venti secoli. Come una religione o una malattia. L'antifascismo è il loro vero capitale, sia dottrinario sia monetario. Una sorta di carta di credito, un pagobancomat, un'assicurazione sulla vita. Vi hanno investito, con capitali a fondo perduto, una vita intera e ora non vogliono decomunistizzarsi perché il subcomandante Fausto è diventato il presidente Bertinotti.
Per i comunisti italiani vale quello che Popper diceva del marxismo: «Se i fatti danno torto alla teoria marxista si cambiano i fatti ma mai la teoria». I giovani del Pdci si abbeverano a questa scuola e infatti dicono: «Non ci può essere ruolo istituzionale che possa cambiare cent'anni di storia». Anche se si tratta di cent'anni di storia di fallimenti.
I comunisti sono sempre stati bravissimi nello spiegare i fallimenti. «Che fatto nuovo ha predetto il marxismo, diciamo, dal 1917?» si chiedeva Imre Lakatos. Nessuno. I comunisti sono specialisti nello spiegare i fallimenti: «Hanno spiegato Berlino 1953, Budapest 1956, Praga 1968».

Oggi il Pdci, ma anche il Prc, ci «spiegano» Mosca 1989.
Più i fatti danno loro torto, più difendono la teoria comunista sulla quale hanno investito a vita. Risultato: la democrazia di casa nostra degenera e non guarisce dal tragicomico morbo totalitario italiano.

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