Politica

Antimafia, il Csm archivia la rabbia di Caselli

Stefano Zurlo

da Milano

È guerra fra Giancarlo Caselli e il Csm. Il procuratore generale di Torino punta il dito contro i membri togati di Unicost e Magistratura indipendente che, prontamente, rimandano le accuse al mittente. È uno scontro senza precedenti quello che va in scena fra Torino e Roma: sullo sfondo c’è la nomina di Pietro Grasso a Procuratore nazionale antimafia. Caselli, il grande sconfitto, non ci sta e in un’intervista a Repubblica parla di «manovre» compiute congiuntamente dai togati moderati e dai laici della Casa delle libertà per togliergli ogni chance. Ma da Palazzo dei Marescialli arriva una ricostruzione opposta: è stato uno degli «sponsor» di Caselli, il relatore della sua pratica in consiglio Francesco Menditto di Magistratura democratica, ad allungare i tempi. E a mettere fuori gioco la sua candidatura.
Un passo indietro, per capire. Il punto di partenza è la gara per la successione al vertice della Procura nazionale antimafia: Piero Luigi Vigna chiude in estate la sua lunga esperienza. A contendersi la prestigiosa poltrona sono Grasso e Caselli. La partita si complica quando in Parlamento il centrodestra vota in corsa un emendamento che taglia la strada, per ragioni apparentemente anagrafiche, a Caselli. L’emendamento, voluto da Luigi Bobbio di An, è esplicitamente fatto su misura per bloccare Caselli. Da sinistra si grida alla legge antidemocratica.
Il 20 luglio, in piena bagarre, 13 membri del Csm - i laici della Casa delle libertà e i togati moderati di Unicost e Mi -, scrivono un documento in cui in sostanza propongono di accelerare i tempi, se necessario ricorrendo anche ad un plenum straordinario, per arrivare alla scelta finale del Procuratore prima dell’entrata in vigore della nuova legge. I tempi sulla carta ci sono anche se stretti, il Csm avrebbe la possibilità di bruciare il Parlamento e di decidere in piena autonomia. Ma Menditto non deposita il parere e vanifica l’azione dei tredici. La legge viene pubblicata il 29 luglio sulla Gazzetta ufficiale, su Caselli scende l’aureola del martire: la conta dei voti non si fa più perché ormai Caselli non può più concorrere. Grasso, che probabilmente avrebbe vinto il duello con il prestigioso rivale, viene nominato dal Csm con 18 voti a favore. Caselli si prepara, forse, ad un ricorso alla Corte costituzionale. Intanto affida la sua ira a Repubblica: «Proprio mentre si preparavano le iniziative legislative che mi riguardavano, gli esponenti togati di Unicost e di Mi, e cioè dei magistrati, hanno sottoscritto dei documenti... che avevano l’esplicito scopo di contrastare le manovre contro di me in corso al di fuori del Csm».
Le parole di Caselli lasciano di stucco i protagonisti della querelle estiva che invece avevano provato a tenerlo in gara. «Ma quale ostruzionismo, noi - dichiara al Giornale Nino Marotta, uno di quei laici - volevamo votare prima della nuova legge, Caselli sbaglia obiettivo. Meglio che guardi altrove». Il gruppo di Unicost annuncia un’assemblea per definire una posizione comune. Francesco Lo Voi di Mi replica invece con un comunicato: «La nota sottoscritta dai componenti di Mi, insieme ad altri, aveva il solo scopo di consentire la partecipazione di Caselli al concorso, trattando la nomina del Procuratore prima che la legge (accompagnata dalle deprecabili dichiarazioni di alcuni esponenti politici) lo escludesse dal concorso stesso. Ciò non è stato possibile a causa della manovra dilatoria adottata da altri componenti del consiglio». Lo Voi, elegantemente, non esplicita quel che pensa: del fatale ritardo è responsabile solo e soltanto Francesco Menditto. «Dispiace anche - conclude Lo Voi - che il procuratore Caselli sembri confondere la preferenza espressa in modo trasparente, motivato e legittimo verso un candidato diverso da lui, con la condivisione niente meno che di un attacco all’indipendenza della magistratura o, anche solo, di un attacco nei suoi confronti». Una delle due correnti sotto attacco non esclude di chiedere addirittura l’intervento di Ciampi. Caselli, par di capire, era destinato comunque alla sconfitta. Molto meglio, non esporsi.

E sollevare, dopo, uno scandalo che non c’è.

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