Caro Granzotto, a proposito dellarresto per calunnia di Ciancimino junior - il pentito preferito di Ingroia e Santoro - per le sue accuse contro lex capo della Polizia De Gennaro, basate su documenti falsificati, mi risulta che il Gen. dei Carabinieri Mario Mori - attualmente processato per il solito concorso esterno blablabla - abbia dimostrato in aula già alla fine di settembre dello scorso anno come il Ciancimino sia un abituè delle fasificazioni di questo tipo. Da ricerche fatte mi risulta altresì che, nella presente circostanza, nessun organo radiotelevisivo o di stampa (compreso - purtroppo - Il Giornale) abbia ricordato il fatto, che mi sembrerebbe di una certa rilevanza. Le spiacerebbe commentare?
Cadoneghe (Padova)
Perché no, caro Valenti, e lo faccio riportando quanto scritto giusto sabato scorso dai nostri baldi Gian Marco Chiocci e Mariateresa Conti: «... il nome di De Gennaro, vergato sì dal padre ma in un documento in cui si parlava di tuttaltro e in cui non venivano lanciate accuse allex capo della polizia. Esattamente quello che, secondo la ricostruzione della difesa del generale Mori, sarebbe accaduto anche per la letterina sulla presunta origine in odor di mafia di Forza Italia, scritta, Ciancimino junior dixit, da papà don Vito per conto di Provenzano e indirizzata al premier Silvio Berlusconi e a Marcello DellUtri». Come vede, noi il nostro dovere labbiamo fatto e mi chiedo come poteva dubitarne. Chiarito il malinteso vorrei approfittarne per tornare sulla interessante figura di Antonino Ingroia. Del fatto che abbia abboccato sicut thunnus allamo di Massimo Ciancimino, Il Giornale ha già riferito per filo e per segno e tornarci su sarebbe perdita di tempo. Però la esorto a riflettere sullargomentazione addotta da Ingroia per discolpare se stesso e i quasi tre anni passati a bersi le panzane del suo pentito di riferimento. Sostiene il procuratore che di Ciancimino mica si fidava più di tanto («Le ombre sul suo atteggiamento ci sono sempre state»). Strano, perché scrisse, allorché conobbe la gola profonda e mendace: «Capii subito che era fatto di una pasta diversa e avrebbe potuto diventare una icona dellantimafia». Icona. Dellantimafia. Ma fa lo stesso, il bello viene ora: perché stante le ombre il procuratore aggiunto ha seguitato a prendere per oro colato le rivelazioni del patacccaro? E bravo te, risponde Ingroia: «Avessimo interrotto prima i rapporti non avremmo avuto la prova della calunnia». Sensazionale. È come dire: avevo il sospetto che Tizio fosse un assassino, ma non lho fermato perché facendolo gli avrei impedito di uccidere Caio e dunque avere le prove che era realmente un assassino. Invito lei, caro Valenti e i lettori tutti ad alzarsi e per questo stringente esempio di logica aristotelica tributare al procuratore Ingroia una standing ovation. (Detto fra parentesi, il nostro procuratore non è nuovo ai taroccamenti: ci ricorda Il Foglio che un annetto fa egli riaprì il caso di Salvatore Giuliano, morto nel corso di una sparatoria nel 1950. Perché? Perché a detta dei firmatari dellesposto il cadavere di Salvatore Giuliano non era quello di Salvatore Giuliano, ma di un qualsiasi picciotto morto ammazzato. Il bandito, in verità, la scampò riuscendo a lasciare lItalia grazie a un accordo tra Stato e mafia. Accordo tra Stato e mafia? I pm, guidati giustappunto dal procuratore Ingroia, addrizzano le orecchie: quello era pane per i loro denti e fu subito aperto un fascicolo.
Paolo Granzotto
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