Marta Cerruti
É logico che un cittadino si aspetti, qualora ne abbia davvero bisogno, di essere aiutato, sostenuto e tutelato dalle istituzioni che lo rappresentano e dagli enti pubblici che, in fin dei conti, sono da lui mantenuti. Logico e giusto. Almeno così doveva pensare fino a poco tempo fa unanziana signora che, rimasta invalida, ha potuto contare solo sullaiuto dei suoi cari per far fronte alla malattia.
La storia di una vita difficile cominciata 84 anni fa. Prima la guerra e poi la fuga improvvisa nel 47 da casa propria nellestremo Nord Est, non più italiano. Quindi il trasferimento in Liguria, a Genova e una vita modesta frutto del lavoro quotidiano. Raggiunta un po di tranquillità familiare viene subito infranta da un lutto inaspettato, la morte del marito. Ora la vecchiaia, la fase della vita in cui ognuno spererebbe di essere sollevato dalle fatiche, curato e accudito, specie se malato e invalido. Speranze, vane.
Forse sembrerà una storia già sentita, comune, retorica e patetica. Ma forse invece è bene risentirla, raccontarla ancora, nei suoi tristi particolari.
La persona protagonista della vicenda è una signora anziana che oggi ha 84 anni. Una profuga giuliana, trapiantata a Genova negli anni 50 insieme al marito. Una vita a fare la moglie, la mamma e la sarta. Mai aiutati da nessuno, nonostante la condizione di profughi. Sostegno che non riceve nemmeno ora che, oltre alla vecchiaia, deve affrontare la malattia e linvalidità.
Allinizio dellestate la frattura del femore e la conseguente caduta. Necessaria quindi unoperazione chirurgica e una lunga degenza ospedaliera. Di lei si prendono cura il suo unico figlio e sua nuora, sia durante il ricovero che dopo le dimissioni. Ma la signora è ormai disabile e bisognosa di frequenti cure specialistiche. Non è quindi pensabile che possa vivere sola, come ha sempre voluto fare, nè che si trasferisca nellabitazione di 4 vani del figlio e della nuora. La convalescenza post operatoria viene fissata ad almeno 60 giorni, ma non vi è struttura convenzionata con la pubblica assistenza che possa ospitare lanziana donna. I familiari si adoperano per cercare una residenza protetta naturalmente privata che possa accoglierla. Dopo una faticosa ricerca trovano finalmente una struttura specializzata che per 1800 euro al mese è in grado di assistere la signora, provvedendo anche alla cure mediche necessarie. La pensione minima della anziana donna certo non basta a coprire le spese per il ricovero e nemmeno per i medicinali. A tutto pensano il figlio e la nuora, che sono sì presenti ma non certo ricchi, in quanto a loro volta pensionati, dopo una vita da impiegati. Presenti, unici presenti. Non infatti, un sostegno, unagevolazione, un assegno di accompagnamento o di invalidità da parte degli enti pubblici viene loro in aiuto. Da parte delle istituzioni però qualcosa poi arriva. La speranza di essere accolta, almeno per la riabilitazione motoria, in una casa di cura convenzionata; e la sorpresa di doversi pagare anche i farmaci necessari per la medicazione delle piaghe da decubito. Fino alla fine di luglio quel tipo di medicinali li «passava» - come si diceva un tempo - «la mutua», ovvero lAsl. Ora invece, provvidenziali tagli, hanno reso la spesa a carico dei malati. Ma non si tratta di qualche decina di euro, ma di spese onerose e soprattutto irrinunciabili. «É una vergogna» denuncia sconfortata la nuora della signora.
Forse era davvero il caso di raccontare questa storia, anche e sopratutto per dar voce a chi, purtroppo, di voce non ne ha.
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