Appello a sorpresa da sinistra: "Ribellatevi a questa sentenza"

Gli ex dalemiani Velardi e Rondolino mettono sotto accusa la Consulta: "Ha ferito la vita democratica, gli uomini e le donne dell’opposizione insorgano per primi". Indignati contro gli anti Cav in festa: "Li conosciamo bene, ma sui principi non si tratta"

Appello a sorpresa da sinistra: "Ribellatevi a questa sentenza"

Roma «Se pure Berlusconi fos­se il peggiore dei criminali (e certamente non lo è), nulla può autorizzare il servaggio della democrazia in un Paese libero». A scrivere queste pa­role non sono stati esponenti del Pdl, ma i due spin doctor del dalemismo, Claudio Velar­di e Fabrizio Rondolino, edi­tor di The FrontPage.it . «I pri­mi ad insorgere, nel Paese che volevano normale (implicito riferimento al líder Massimo , ndr), dovrebbero essere le donne e gli uomini del centro­­sinistra », aggiungono. Il loro commento della sen­t­enza della Consulta sul legitti­mo impedimento è molto più spiazzante e tagliente della «legittima» indignazione del centrodestra perché provie­ne da un’area che si è intesta­ta il «partito delle toghe» finen­done fagocitata. La Corte, chiosano Rondolino e Velar­di, ha impresso una «ferita al­la vita democratica del Paese subordinandola alle decisio­ni (e al capriccio) di un magi­strato ». La Consulta, infatti, ha stabilito che sia il giudice che conduce il processo «a de­cidere se davvero il presiden­te del Consiglio dice la verità o mente sulla propria agenda; se insomma può o non può go­vernare il Paese e rispettare il mandato ricevuto dal corpo elettorale». Un «servaggio» che nasce da una «soluzione all’italia­na: ipocrita, compromissoria, intimamente vigliacca» per­ché la Corte ha deciso di «abrogare la legge senza dir­lo, svuotandola furbescamen­te dall’interno, e vanificando­ne il significato e la funzione». E sottomettendo alla «tutela della magistratura» il governo e il Parlamento che gli conce­de la fiducia, cioè ogni singolo elettore. «Conosciamo fin troppo be­ne- concludono i due editoria­­listi - l’obiezione del partito giustizialista, che in queste ore brinda e festeggia. Si chia­ma Berlusconi. Ma i principi non sono negoziabili». Ecco, il vero problema sono i princi­pi. Ma quante volteil Pd sen’è dimenticato quando s’è trova­to dinanzi al bivio tra accodar­si alla magistratura o intra­prendere un percorso riformi­sta! ». «Una sentenza che evita abusi e che rispetta la Costitu­zione », hanno commentato pilatescamente ieri il capo­gruppo al Senato Anna Finoc­chiaro e il responsabile giusti­zia democratico Andrea Or­lando. Entrambi ormai han­no «seppellito» la volontà ri­formatrice in nome del «tutto tranne Berlusconi». La prima nella scorsa legislatura aveva proposto un ddl sulle intercet­tazioni non dissimile da quel­lo affondato da Fini, mentre il secondo nove mesi fa aveva in­dicato la via del Pd alle rifor­me giudiziarie. Una strade tor­tuosa ma che conteneva buo­ni propositi come distinzione dei ruoli, modifica della proce­dura di elezione del Csm e ri­modulazione dell’obbligato­rietà dell’azione penale. Tut­to finito in una bolla di sapone perché dopo l’«incazzatura» di Magistratura democratica i piddini si sono guardati bene dal proseguire su quel percor­so che avrebbe persino potu­to portare a un’intesa col Pdl. Ma se l’azione politica è defi­citaria anche sul piano uma­no il Pd ha qualcosa da farsi perdonare come l’aver disco­nosciuto Ottaviano Del Tur­co, fondatore del partito ed ex­go­vernatore abruzzese spode­stato da un’inchiesta della Procura di Pescara che s’è sgonfiata come un soufflé malriuscito. Su tutto ciò il Pd non può permettersi nemme­no l’umana solidarietà, ma so­lo le frasi dette a mezza bocca.

Come quelle di D’Alema tra­pelate su Wikileaks e pronta­mente smentite ( «La magistra­tura è la più grande minaccia allo Stato italiano»). L’imba­razzo di Velardi e Rondolino è comprensibile: coloro che si dicono democratici subisco­no proni il «servaggio della de­mocrazia ».

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