Apprendisti in economia 

La via dell’inferno è davvero lastricata da buone, buonissime intenzioni. Ma ahimè nonostante i buoni propositi la strada è pur sempre quella. Prendete la questione dei ticket sanitari, aumentati da questo governo, al fine di disincentivare l’abuso della sanità pubblica.
In Italia si spende una montagna di quattrini per la sanità. Qualcosa vicino a cento miliardi di euro. La gran parte di queste risorse arrivano dalla fiscalità generale: insomma dalle nostre tasse, locali e nazionali. Una piccola percentuale di questa enorme spesa pubblica arriva dai pagamenti diretti dei cittadini: i cosiddetti ticket. Ma si tratta di una goccia nell’oceano: poco più di 1,2 miliardi di euro per le spese ambulatoriali. Il governo Prodi con la recente manovra ha aumentato questo contributo di circa 850 milioni di euro. L’idea sulla carta ottima di promuovere la consapevolezza dei cittadini sulle prestazioni che ottengono si rivelerà l’ennesima tassa.
In un recente e bellissimo studio del Centro di ricerca in economia e Management in Sanità (il Crems dell’Università Carlo Cattaneo) si legge: «La compartecipazione del singolo alla spesa sanitaria non riesce a contenere i costi del sistema. Infatti le prestazioni ambulatoriali specialistiche crescono progressivamente a prescindere dall’applicazione del ticket...». Secondo la ricerca fatta sul campo dagli studiosi del Crems l’applicazione del ticket in Italia non serve a frenare la spesa (neanche quella farmaceutica). Ma a qualcosa serve: a pagare gli stipendi di una burocrazia necessaria per gestire il ticket. Un paradosso pazzesco. Il Crems ha calcolato che «almeno un terzo» di quanto ricavato con i ticket serve infatti per tenere in piedi la «struttura ticket». Insomma mi faccio pagare dai cittadini, ma per ottenere questi pagamenti spendo un terzo degli stessi: in controlli sulle esenzioni, stipendi per i controllori, uffici che tengano le carte, individuazione delle patologie e certificazioni varie. Una follia.
La testa di questo governo ha un idea incredibilmente antica del ruolo dello Stato nell’economia. Ogni suo passo sembra ricalcare un vecchio libro di testo di economia politica degli anni 70. Chi ci governa ha ancora la pia illusione di contenere i deficit pubblici adeguando le entrate (le nostre tasse) alle spese. E non viceversa. Come dimostra l’impianto dell’ultima Finanziaria che secondo gli economisti della voce.info, per il 90 per cento è fatta di nuove entrate e di nessuna riduzione significativa di spesa.
I dati sul fabbisogno statale dell’anno che si è chiuso sono clamorosi. Come ha ammesso una nota del Tesoro, la fame di risorse pubbliche è crollata del 40 per cento rispetto al 2005 e non solo per l’ottimo andamento delle entrate, ma anche grazie ad iniziative per il controllo della spesa pubblica assunte con la manovra di bilancio di fine 2005.
Ricapitolando, ormai è noioso ripetere che del buco di Berlusconi non c’è traccia. Ha ridotto le imposte, ma ha aumentato il gettito per le casse dello Stato. E sul fronte delle uscite la sua ultima manovra ha contribuito a contenere la spesa pubblica.


I comunicati non dicono inoltre che il motore di queste buone notizie è anche quello della ripresa economica dovuta a leggi sul lavoro e sul fisco espansive. Esattamente il contrario di quanto previsto dalla manovra di Tommaso Padoa-Schioppa che introduce nuove imposte e minore flessibilità sul lavoro. Una follia. Come quella dei ticket.

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