Approvata la manovra Addio al contorno di tasse. E a crisi finita si taglia

Per commentare dove si va con la legge finanziaria, approvata ieri in Senato senza il ricorso al voto di fiducia, è sempre utile ricordare da dove si viene. Si tratta dell’ultimo atto della lunga (e spesso disonorevole) storia delle leggi finanziarie, dato che dall’anno prossimo andrà in pensione a favore della nuova «legge di stabilità» che avrà un iter diverso ma, nonostante la solennità dell’occasione, l’uscita di scena non appare certamente studiata per strappare applausi. Se si dovesse infatti giudicare il testo in termini assoluti, probabilmente non strapperebbe più di una sufficienza, tuttavia se paragonata a tanti scempi a cui ormai avevamo fatto quasi l’abitudine, rischia di apparire di qualità eccelsa.
Il fatto stesso che se ne parli così poco rappresenta una buona notizia, significa che quanto meno non fa danni, ed è già un risultato. Ricordiamo infatti che la storia recente (e meno recente) delle leggi finanziarie è costellata di interventi profondamente invasivi per le tasche dei cittadini. L’abitudine era di aprire il giornale con i dettagli della legge con la stessa trepidazione con cui si apre una raccomandata dell’agenzia delle entrate, una sorta di superconto che veniva messo annualmente sul tavolo di tutti gli italiani che lo guardavano con la sgradevole sensazione di essere sempre dalla parte di quelli che pagano e mai dalla parte di quelli che mangiano.
I pasteggiatori poi erano ben visibili, tutti in fila a mettere il proprio emendamento di spesa (quando si voleva essere sinceri) o di «redistribuzione» o di «equità» (quando si voleva essere ipocriti). Nella Finanziaria 2010 ci sono molte cattive abitudini ma appaiono attenuate, quasi ingentilite. I finanziamenti a pioggia ci sono sempre, ma sono mancette rispetto al solito standard. Le coperture ballerine di spesa non mancano, ma almeno non sono mascherate da voci troppo campate per aria come ad esempio il solito miraggio dell’«accorpamento degli enti previdenziali», usato dal centrosinistra come bancomat (falso) per miliardi di spese inverosimili.
Tutto stemperato insomma, con forse solo due punti veramente qualificanti, vale a dire l’appostamento di bilancio più ricco per le forze dell’ordine e un inizio di responsabilizzazione delle Regioni con aumenti fiscali per chi non sarà stato in grado di rispettare la spesa sanitaria. Quest’ultimo punto in particolare va nella giusta direzione, anche se ancora una volta i cittadini pagheranno per le manchevolezze degli amministratori: è positivo infatti perché renderà tangibili gli errori degli enti locali spendaccioni e consentirà alla gente di riflettere bene al momento del voto.
La più grande mancanza è invece l’assenza di un utilizzo più intenso della social card, dato che il minor numero di richieste (prevedibile, dato che si tratta di uno strumento che richiede l’inversione della «prova di indigenza» in un Paese di falsi poveri) avrebbe consentito una dotazione più ricca per ogni carta. In sostanza comunque questa Finanziaria assomiglia a un brodino per tirare avanti, dove fortunatamente manca del tutto quel contorno indigesto di tasse e aumenti che era la prassi consolidata. L’intenzione del governo è comunque manifesta e tutto sommato comprensibile, si intende far passare la bufera della crisi sfruttando la solidità del nostro tessuto economico ed interferendo il meno possibile. Una sorta di «tattica a testuggine», con la prospettiva di uscire dal guscio e iniziare a camminare una volta passato il pericolo.

È un esercizio difficile, con il rischio che una ripresa non incentivata da riforme strutturali e detassazioni profonde si riveli debole. Al momento i dati del superindice Ocse sembrano comunque dare ragione al governo, la palla (e le speranze) sono ormai nel campo del 2010.
posta@claudioborghi.com

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