ARIGLIANO Il maestro dello swing fra Italia e America

Nonostante gli ottantatré anni il cantante pugliese riesce sempre a emozionare i suoi fan d’ogni tempo

Antonio Lodetti

Viene da Squinzano, in provincia di Lecce ma è milanese d’adozione. 83 anni vissuti perlopiù di notte, cantando jazz, swing e ballate con voce abrasiva e piglio ironico. Nicola Arigliano ha scoperto l’elisir di giovinezza e domani alle 21 propone lo spettacolo «Il nostro grande swing» al Teatro Dal Verme per la rassegna Milanesiana.
Oramai la sua immagine è un cliché. Un omino anziano, rattrappito, la coppola in testa e un sorrisetto un po’ stupito, di quello che non sa bene cosa gli stia capitando intorno. Nel 2003, al Dopofestival, all’una e mezza di notte, mentre gli ospiti dibattevamo su questioni di lana caprina, lui sembrava addormentato sulla sedia. Poi, arrivato il suo turno, ha tirato fuori la voce sfoderando ben otto canzoni.
Perché Arigliano si porta dietro una voglia di vivere, di comunicare, di fare spettacolo da far tremare i polsi a un ventenne. È il re dei crooner italiani, un cantante-non-cantante che con la sua vocalità beffarda, dal timbro scuro e dal vibrato leggero, sa tingere di emozione sia le canzonette che le classiche ballate jazz.
È uno che mette d’accordo tutti, il pubblico e la critica che lo definisce ora «il Frank Sinatra italiano» ora «il simbolo del jazz vocale in Italia». Lui si schermisce, si guarda in giro con la sua aria da finto tonto e risponde: «A me ieri e oggi non interessano, mi piace solo il dopodomani».
Così l’uomo che ha inciso circa 120 dischi (il primo nel 1956, il 78 giri A tazza ’e cafè) continua a cantate lo swing. Un pizzico di Tony Bennett, un tocco morbido alla pat Boone, un’impronta fortemente personale ed è fatta. Un cantante italiano interprete di ballate sentimentali con la voce scavata nella tradizione americana.
Lo capisce subito il chitarrista Franco Cerri quando lo ascolta a Milano. A quell’epoca Arigliano suona sax, batteria e contrabbasso nei night ma studia anche composizione. Diventa protagonista delle mitiche jam session della Taverna messicana con Cerri, Renato Sellani, Bruno De Filippi, Enrico Intra e tutti i grandi del jazz italiano.
Poi per lui ci saranno le passerelle di Sanremo (la prima volta nel 1964 con Venti chilometri al giorno), un sacco di successi internazionali nel rileggere pietre miliari del jazz e del blues come The Lady Is A Tramp o Georgia On My Mind, cinema (La grande guerra), teatro e persino la pubblicità del Digestivo Antonetto. Ma torniamo alla musica, il centro della sua vita.
«Amo il jazz e la grande canzone italiana ma sono un cane sciolto. Amo soprattutto improvvisare, non voglio né vorrò mai avere barriere». Alla faccia dei vari Peter Cincotti e Michael Bublé, nel 1996 è tornato alla grande e, con l’album I Sing ancora si è portato via il Premio Tenco.
Tiene ancora un centinaio di concerti all’anno e da allora ha inciso altri cd come Italian Crooners to the Americans e il recente My Name Is Pasquale che si è fatto valere sul mercato nazionale e ha attirato l’attenzione dei media. Non è un caso che l’anno scorso Arigliano sia tornato a Sanremo con il brano Colpevole, non convincendo il pubblico ma conquistando il premio della critica.
Domani si lancerà attraverso un enorme caleidoscopio canoro che lo porta dal superclassico On the Sunny Side of the Street a Maramao perché sei morto passando per Ho un sassolino nella scarpa e I Sing ammore.

Al suo fianco Frank Antonucci alla chitarra, Angelo Otis Rosi al contrabbasso, Nick Mandarino alla batteria, Umberto Trinca alla fisarmonica.

Nicola Arigliano Quintet, Il nostro grande swing, Teatro Dal Verme, info 02-87905, domani ore 21, ingresso libero

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