Arrestati 300 terroristi a Bagdad Zarqawi replica con le autobomba

Decine di vittime. Assassinato collaboratore del premier Jaafari. «Fatwa» dei religiosi sciiti e sunniti contro chi commette violenze

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da Bagdad

Le forze di sicurezza irachene, appoggiate da reparti americani, hanno avviato all’alba di ieri a Bagdad una vasta operazione antiterrorismo che ha portato all’arresto di quasi 300 persone e al sequestro di numerose armi. Ma poche ore dopo l’ennesima autobomba è esplosa davanti a un ristorante della capitale, causando la morte di otto persone e il ferimento di altre cento.
Sempre ieri mattina a Bagdad è stato assassinato un consigliere del premier Ibrahim al Jaafari, Wael al-Rubaie. La sua uccisione è stata rivendicata via internet dall’Organizzazione di Al Qaida per la guerra santa in Irak, la cellula guidata dal famigerato Abu Musab al Zarqawi.
Altre due autobomba esplose presso Mosul, nel nord dell’Irak, hanno provocato 20 morti e oltre venti feriti. Quattro civili sono poi rimasti uccisi nell’esplosione di un camion-bomba nella cittadina di Tuz Khurmatu, nel nord del Paese, dove, secondo quanto ha reso noto il comando Usa, tre soldati americani sono morti in due attacchi diversi.
Attacchi ci sono stati anche a Mosul e Samarra, ma l’attentato più grave è certamente quello compiuto contro il ristorante Habayebna di Bagdad, frequentato soprattutto da impiegati e operai, ma anche da agenti di polizia. L’autobomba è stata fatta esplodere all’ora di pranzo.
Probabilmente si è trattato di una risposta all’operazione antiterrorismo lanciata nella capitale, la più importante condotta congiuntamente da forze irachene e americane. «Le forze della coalizione, in collaborazione con le forze del ministero dell’Interno, hanno catturato 285 persone sospettate di essere terroristi», ha reso noto il comando Usa, aggiungendo che l’obiettivo dell’operazione è «uccidere o catturare i terroristi che hanno pianificato attacchi contro la capitale».
Ma oltre alle forze di sicurezza, la nuova ondata di attentati, che nelle ultime tre settimane ha causato la morte di oltre 500 persone, sembra preoccupare seriamente anche i massimi esponenti religiosi sciiti e sunniti, che ieri hanno deciso di reagire emettendo congiuntamente una fatwa (editto religioso) per ammonire tutti gli iracheni a non commettere violenze che possano trascinare il Paese in un conflitto interconfessionale, vale a dire una guerra civile.
All’iniziativa hanno aderito in particolare il capo del Consiglio degli ulema sunniti, sheikh Harith al Dhari, il leader radicale sciita Moqtada Sadr e il grande ayatollah sciita Ali Sistani.

L’ufficio di quest’ultimo a Najaf, città santa nel sud dell’Irak, ha fatto sapere che ormai da molti giorni è di fatto ininterrotta la «processione» di fedeli che chiedono al leader religioso il permesso di vendicare l’uccisione dei loro parenti. A tutti loro Sistani risponde che la miglior vendetta è rivolgersi alla polizia o all’esercito, che hanno il compito di garantire sicurezza e legge nel Paese.

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