Milano - È rimasto in Questura tutta notte, anche se per interrogarlo, prima di dichiararlo in arresto, invece che l’avvocato è stata chiamata la psicologa che l’ha in cura da una decina d’anni. Lui, Massimo Tartaglia, 42 anni, è apparso confuso, anche se ha risposto alle domande degli investigatori confermando che sì, è lui quello che ha colpito Silvio Berlusconi. Pur non sapendo trovare oltre al «rancore» verso il Cavaliere una motivazione precisa. Forse persa in qualche meandro del suo cervello. Forse andato in corto circuito sotto la campagna d’odio che ha individuato nel presidente del Consiglio il «male assoluto». Incensurato, non fa parte di alcun movimento politico, parlamentare o extraparlamentare, centri sociali o associazioni culturali. Ma se da 15 anni senti dire che Berlusconi è a capo di un movimento fascista, che sta limitando le libertà civili e democratiche del Paese, che è un mafioso, be’ afferri la prima cosa che trovi e gliela sbatti in faccia.
Tartaglia dunque ieri ha comprato due pesanti riproduzioni del Duomo, la seconda gli è stata poi trovata in tasca, e appena il «nemico» gli è capitato a tiro, l’ha colpito al volto con tutta la forza. Poi il parapiglia, il tentativo di aggressione da parte dei sostenitori del premier, infine l’arresto. E mentre lo portano via avrebbe gridato «Non sono io. Io non sono nessuno». Sono le 18.40 e la strada davanti alla Questura diventa un alveare con le auto blu e le volanti che vanno avanti e indietro come api impazzite. Massimo Tartaglia fa il suo ingresso al Fatebenefratelli sotto strettissima scorta. Viene immediatamente portato al terzo piano, uffici della Digos, per le procedure del caso. In tasca oltre al secondo «proiettile» gli vengono trovati un crocifisso e un bomboletta di gas al peperoncino. Lo stesso dirigente dell’ufficio, Bruno Megale, conduce inizialmente l’interrogatorio, poi proseguito dal coordinatore del pool antiterrorismo della Procura, Armando Spataro. Qualche minuto ancora e una squadra di agenti si posiziona davanti all’ingresso per evitare possibili dimostrazioni. Al momento del fermo infatti, Tartaglia si trovava in un gruppetto di una decina di persone che sbandieravano copie del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Sicuramente amici visto che apparivano molto interessati alla sua sorte. Non ci vuole molto però a capire che si tratta del gesto fomentato da una campagna d’odio, ma comunque isolato. E di uno squilibrato. Massimo Tartaglia, dopo aver ammesso di aver colpito il premier e di esserne pienamente consapevole, a fatica inizia a raccontare chi è e chi non è. Nato a Milano il 3 agosto 1967, non è sposato e vive in una elegante palazzina nel centro di Cesano Boscone, con la madre e il padre Alessandro con cui gestisce una piccola azienda di elettronica. «Io, mio figlio, la mia famiglia, abbiamo sempre votato Pd, ma nessuno di noi ha mai avuto odio per Berlusconi» dice ora il padre che poi ammette: «Massimo è uno psicolabile, ma non ha mai fatto del male a nessuno. Anzi lui non ha mai fatto neppure politica attiva, è un volontario del Wwf. Penso che questo episodio sia maturato dal clima negativo che sta montando in Italia. In casa nostra abbiamo sempre commentato quello che succede in politica - ha concluso Alessandro Tartaglia - ma nessuno, e tanto meno mio figlio, ha mai mostrato un’esasperazione particolare». Più tardi il padre avrebbe chiamato l’ospedale San Raffaele (dove è stato ricoverato Berlusconi) dicendosi «costernato» per il gesto del figlio. L’attentatore ha precisato di essere in cura presso la divisione psichiatria del Policlinico di Milano da una decina d’anni, e che per questo gli hanno anche revocato la patente di guida. È completamente estraneo a qualsiasi partito e gruppo politico. Rimangono tuttavia quelle dichiarazioni di «rancore verso Silvio Berlusconi» più volte ripetute agli investigatori e quel suo desiderio di fare qualcosa, di colpirlo, fisicamente.
Appare molto scosso e a un certo punto, su proposta della stessa polizia, viene chiamata la psicologa che da anni assiste Tartaglia. Assai più utile dell’avvocato. La dottoressa si ferma oltre un’ora negli uffici della Digos. Poi verso le 20.
30 gli inquirenti, avendo anche in mano il referto medico, decidono di porlo in stato di arresto con l’accusa di lesioni aggravate dalla qualità della persona offesa e dalla premeditazione, ampiamente dimostrata dalle due statuette comprate dall’uomo.