Dopo il golpe, la repressione. Il Pakistan non ha fatto in tempo ad abituarsi allo stato di emergenza imposto sabato da Pervez Musharraf - presidente e capo delle forze armate - che subito quest’ultimo ha rincarato la dose, facendo arrestare almeno seicento oppositori, anche se la lista dei ricercati è di almeno 1.600 persone.
L’ex capo della Corte suprema, il giudice Iftikhar Muhammad Chaudhry, e l’avvocato Aitzaz Ahsan, che lo difese quando fu deposto la prima volta in marzo, sono stati i primi a finire in carcere. La stessa sorte è toccata ai leader dei due partiti d’opposizione: Javed Hashmi, presidente ad interim della Lega musulmana pachistana da quando l’ex premier Nawaz Sharif è in esilio, e Imran Khan, alla guida del Movimento per la giustizia. L’ex campione di cricket, messo agli arresti domiciliari assieme a otto collaboratori nella sua casa di Lahore, sarebbe riuscito a fuggire eludendo la sorveglianza. Sabato Imran aveva lanciato una durissima invettiva contro Musharraf, arrivando a parlare di pena di morte.
L’unica oppositrice ancora in libertà è Benazir Bhutto, rientrata precipitosamente sabato sera a Karachi da Dubai. Per la ex premier, che ha parlato di «legge marziale» e del «giorno più nero per la storia del Paese», i provvedimenti di Musharraf sono soltanto il disperato tentativo con cui il governo sta tentando di rinviare le legislative previste per gennaio. Da ieri si ricorrono voci e smentite sulle elezioni. Secondo il ministro dell’Informazione, Tariq Azim Khan, è possibile che ci sia un «aggiustamento» del calendario elettorale. Ancora più ambiguo il premier, Shaukat Aziz, che prima ha escluso la cancellazione del voto, salvo poi affermare che lo stato d’emergenza rimarrà in vigore «finché sarà necessario», e che il Parlamento «ha la facoltà» di rinviare le elezioni anche fino a un anno.
Intervistata dalla Bcc, la Bhutto ha spiegato con lucidità quanto sia assurda la situazione che si è venuta a creare, e ha sottolineato come «ironicamente» Musharraf abbia fatto un golpe contro il suo stesso regime». Su questa linea è anche Dawn, uno dei pochi quotidiani indipendenti del Pakistan, pubblicato in lingua inglese. Sfidando la censura - la nuova Costituzione prevede fino a tre anni di carcere per chiunque ridicolizzi o metta in difficoltà l’operato del presidente - Dawn titolava ieri: «Il secondo golpe di Musharraf», confrontando la situazione attuale con quella del 1999, quando il generale rovesciò il governo di Sharif.
Il Pakistan si presentava ieri come un Paese in assetto da guerra. A Karachi, Islamabad, Lahore e Peshawar ronde di paramilitari pattugliavano i quartieri dove abitano magistrati e politici. Davanti agli uffici governativi e alle sedi di radio, televisioni e giornali, i posti di blocco rendevano impossibile qualsiasi tentativo di avvicinarsi. Avvocati e giudici hanno proclamato per oggi lo sciopero generale, e sono attese manifestazioni di protesta in tutte le città.
Il potere giudiziario è quello maggiormente colpito dalla nuova Costituzione. Secondo quanto disposto dall’articolo 2, «né la Corte suprema né l’Alta corte o qualsiasi altro tribunale ha la facoltà di emettere alcun ordine contro il presidente e il primo ministro».
La comunità internazionale ha condannato gli arresti di massa. Secondo il ministro degli Esteri inglese, David Milliband, e l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, Javier Solana, le elezioni di gennaio - libere e democratiche - devono svolgersi regolarmente.
Anche stavolta i toni più duri sono arrivati dagli Stati Uniti, che con molto pragmatismo hanno minacciato la riduzione degli aiuti economici per milioni di dollari che elargiscono a Islamabad. In procinto di partire per Pechino, dove è atteso oggi, il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ha detto che i provvedimenti di questi giorni non modificheranno il «supporto militare» del Pentagono al Pakistan.
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