Stop agli incroci di cariche in banche e assicurazioni concorrenti. È quanto prevede larticolo 36 della manovra approvata dal governo Monti. In particolare, il dispositivo impone ai «titolari di cariche gestionali, di sorveglianza e di controllo e a funzionari di vertice di imprese o gruppo operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese concorrenti».
Cinque righe burocratiche che potrebbero segnare la fine del capitalismo di relazione allitaliana. Il capitalismo «inventato» da Raffaele Mattioli, Alberto Beneduce ed Enrico Cuccia: piccole partecipazioni incrociate segno di reciproco sostegno alle quali molto spesso si associa un ricorso a «manager-simbolo» di un determinato gruppo finanziario. Una necessità storica per un sistema malfermo come quello del nostro Paese, spesso impossibilitato e/o avverso allutilizzo di forme alternative di finanziamento.
Se la bozza dovesse essere approvata così come licenziata dal Consiglio dei ministri domenica scorsa molte cose potrebbero cambiare. È ipotizzabile che dietro questa innovazione ci sia laccuratezza di Antonio Catricalà, sottosegretario alla Presidenza che da numero dellAntitrust ha spesso denunciato gli incroci di poltrone nella finanza italiana.
Eppure a Piazzetta Cuccia - dove ebbe origine la storia moderna (e anche quella contemporanea) della finanza italiana - potrebbe cambiare poco o niente. Il secondo comma dellarticolo 36 infatti considera «concorrenti» imprese e gruppi tra i quali «non vi sono rapporti di controllo» ai sensi della legge Antitrust (la 287/90): quindi i partecipanti al patto di sindacato, Unicredit in primis coi suoi rappresentanti Dieter Rampl, Fabrizio Palenzona e Roberto Bertazzoni, non si potrebbero considerare concorrenti giacché esercitano congiuntamente il controllo sulla merchant bank milanese. Idem per Mediolanum. In bilico la posizione di Eric Strutz, direttore finanziario «a termine» di Commerzbank. La banca francofortese è infatti uscita dal patto, ma proprio il prossimo avvicendamento fa sì che il consigliere indipendente tedesco possa tranquillamente essere confermato.
Se la normativa non fosse modificata dalle Camere, i cambiamenti si concentreranno sul fronte delle relazioni «amichevoli» che però non si esplicitano in un qualche vincolo. È il caso del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, che è anche componente del cds di Ubi Banca. E sempre per restare attorno a Ca de Sass occorre notare che Enrico Tomaso Cucchiani avrebbe probabilmente dovuto lasciare il cda di Unicredit anche se non fosse stato nominato ceo della superbanca. Da numero uno italiano di Allianz (2% di Unicredit) non avrebbe potuto restare a Piazza Cordusio ancorché vi sia un accordo di bancassurance tra i due gruppi. In Unicredit, invece, potrebbe doversi ridiscutere la posizione del vicepresidente Vincenzo Calandra Buonaura e di Luigi Maramotti, entrambi in Credem.
Insomma, la manovra sembra destinata a influire su quelle figure di alto spessore professionale che vengono nominate nei consigli di amministrazione in virtù della loro rappresentatività. È il caso del professor Roberto Ruozi, presidente di Mediolanum e di Banca Intermobiliare. O di Gabriele Galateri di Genola, presidente delle Generali ma anche consigliere di Banca Carige che ha un proprio polo assicurativo.
Prevedibile anche una stretta sui collegi sindacali, organi per i quali è tendenza comune rivolgersi a professionisti del diritto tributario e commerciale. Mediobanca è al riparo anche da tale evenienza perché Assogestioni ha ottenuto la nomina di Natale Freddi che non ha altri incarichi analoghi.
A una prima lettura, invece, sembrano essere escluse dal computo le Fondazioni di origine bancaria.
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