Arrivano in Italia i monaci pop: «Il cd benedetto dal Dalai Lama»

Esce in Italia il cd «Buddhist monks» che in Spagna è diventato un successo: «Sono i mantra per purificarsi»

Paolo Giordano

nostro inviato al Parco di Garraf (Barcellona)

Sbamm, quando si chiude il portone del Palau Novella, il mondo rimane fuori. Silenzio ovattato, cellulari irraggiungibili, selciato liso dai sandali: non fosse per lo scirocco che arriva dal mare di Barcellona e muove i tigli verdissimi, la realtà qui nel monastero Sakya Tashi Ling sembrerebbe immobile come sui mandala di sabbia che rappresentano l’universo secondo la cosmogonia buddista. Silenzio. I monaci filano silenziosi e sorridenti nelle loro tonache bianche e amaranto e forse non si rendono conto che fuori, in tutta la Spagna, i loro mantra sono diventati tormentoni dopo la pubblicazione del ciddì Buddhist monks (ed. Vale Music/ Universal) che ha venduto più di centomila copie, è stato per cinque mesi in cima alla classifica e ora prova a farlo anche nel resto del mondo, Italia compresa perché, insomma, la spiritualità è una scintilla che si può accendere anche col pop.
Le diciotto anime quiete che vivono qui, tra monaci, novizi e postulanti, sono «ngagpas», sono monaci riconosciuti dal Dalai Lama ma che non hanno l’obbligo di castità, possono tenere i capelli lunghi e sposarsi se vogliono, a patto di trasferirsi fuori se arrivano figli «perché i ragazzi possano scegliere liberamente il loro percorso spirituale». E in effetti qui si respira una tale libertà, spesso confusa e indefinita, che oltre ai tangkha tibetani, che sono pitture sacre ed elementari, nella cappella spuntano anche le statue di santi cristiani «perché il bene non deve avere limiti». E neppure vincoli col passato. E infatti il direttore del monastero, Jordi Gomez non ricorda neanche la sua età e con gli occhi nel vuoto dice «dovrei avere 36 o 37 anni» mentre le braccia e le gambe scoperte sfidano il vento freddo. Qui di fianco, in una saletta di meditazione che i vapori d’incenso velano e profumano, i monaci hanno registrato i loro mantra che poi sono stati musicati con sfondi pop e combinati con una voce femminile che, per fare un esempio, in My spirit flies to you regala un tocco mondano a un disco che contiene versi composti anche 2500 anni fa. «All’inizio - dice - avevamo qualche dubbio, poi anche il Dalai Lama ci ha dato il permesso: questo cd non è destinato ai buddisti ma a tutti gli altri». E allora i mantra - che per noi umani e ignoranti sono canti mistici «la cui funzione è mettersi in contatto con determinate energie» - sono stati scelti tra quelli del primo livello, sono i mantra del Tara, liberatrice. Lo spiega il venerabile Lama Jamiyang Tashi Dorie che vive qui negli ultimi due piani di questa palazzina, riservato e visionario, e si mostra seduto su di uno scranno di legno, la tunica quasi regale, i piedi fasciati di bianco e due enormi anelli alle dita delle mani. Quando i monaci gli passano davanti, si infilano in bocca un lembo del mantello «per non contaminarlo» e poi si scansano velocemente. Lui riceve e guarisce, dicono. E spiega che «solo il Lama può decidere chi è in grado di cantare un mantra, perché potrebbe avere addirittura conseguenze negative.

Bisogna imparare - aggiunge - a far entrare i versi dalle tre porte: il corpo, la parola e la mente». E così, quando nella sala di meditazione i monaci iniziano a cantare, in una atmosfera immobile calda e serena, tra i fumi d’incenso o chissà, la lingua del sanscrito diventa la nenia dolcissima che attutisce le ansie.

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