
C’è una pittura che non si accontenta di essere guardata: vuole essere toccata, abitata, ascoltata. È quella di Georgina Gratrix, artista sudafricana classe 1982, protagonista dell’ultima mostra presso la Galleria Monica De Cardenas di Milano che si chiude a fine mese. Un’esplosione visiva e sensoriale che sfida i codici tradizionali del dipingere, tra ironia e stratificazioni materiche, dove ogni tela sembra voler uscire dal proprio perimetro per invadere lo spazio fisico e mentale dello spettatore. Gratrix, nata a Città del Messico ma cresciuta a Durban, sulla costa orientale del Sudafrica, porta con sé un’estetica tropicale, vibrante, radicata nei paesaggi lussureggianti della sua terra d’origine. Ma non si tratta di paesaggi realistici. I soggetti—fiori, animali, oggetti quotidiani, volti familiari o immaginari—vengono esasperati, distorti, caricati di un’intensità visiva che trasforma l’ordinario in straordinario. Nelle sue mani, anche una semplice brocca di pennelli diventa una figura iconica, quasi totemica, simbolo del mestiere del pittore e oggetto di meditazione metapittorica. Il fulcro della mostra milanese è proprio questa tensione continua tra attrazione e disturbo, tra bellezza e grottesco, tra tradizione e parodia. La pittura di Gratrix si presenta come un linguaggio esuberante, ironico, stratificato: le superfici sono cariche di materia, le pennellate diventano spessori, le figure sembrano scolpite più che dipinte. Un approccio che avvicina le sue tele alla tridimensionalità, dando loro una forza quasi scultorea. L’artista stessa descrive la pittura come una “conversazione con la storia della pittura”, e questo dialogo si fa evidente nei numerosi riferimenti visivi disseminati nelle sue opere. Le influenze spaziano da artisti sudafricani come Penny Siopis, Irma Stern e Robert Hodgins fino a rimandi più ampi alla storia del modernismo, riletta però sempre con uno sguardo critico e personale. Nulla è sacro, tutto può essere oggetto di sovversione ironica. Gratrix mette in scena una quotidianità che si fa teatro visivo, dove cliché pittorici e simboli domestici vengono decostruiti e riassemblati in composizioni dal forte impatto emotivo. Gli interni del suo studio, ad esempio, non sono solo ambienti, ma mondi in miniatura abitati da oggetti che sembrano avere una vita propria. La pittura diventa così un gesto di libertà, una pratica che supera i confini di genere, stile e rappresentazione. La mostra alla Galleria Monica De Cardenas segna una tappa importante per l’artista, che ha già esposto in istituzioni di rilievo come la Norval Foundation e il Museo Irma Stern a Città del Capo, oltre che in sedi internazionali a Berlino, Città del Messico e Los Angeles. Le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni, tra cui la Missoni Collection e il Peres Art Museum di Miami.
A Milano, Georgina Gratrix espone non solo un corpus di lavori inediti, ma una visione del fare pittura come atto critico, fisico e personale. Una pittura che non si limita a raccontare, ma che interroga, esagera, ironizza. E nel farlo, riesce a restituire allo spettatore la complessità contraddittoria e affascinante del mondo contemporaneo