È innegabile che Giacomo Puccini - ultimo grande esponente del verismo - abbia esercitato un'influenza sulle arti visive a cavallo tra Otto e Novecento, lungo un arco che, dal tardo naturalismo, attraversa la Scapigliatura, tocca la corrente simbolista e si spinge alle avanguardie europee. Fin dal suo arrivo a Torre del Lago (1891), intorno a lui si stringe un nucleo di artisti che, grazie alla sua presenza, trovano stimolo, direzione e un paesaggio condiviso. Il lago diventa così un crocevia di pittori, scultori e letterati; qui libertà creativa e vita quotidiana s'intrecciano senza soluzione di continuità. Alcuni frequentano stagionalmente; altri - i «Pittori del Lago» (Ferruccio Pagni, Francesco Fanelli, Raffaello Gambogi, Angiolo e Lodovico Tommasi), livornesi e allievi di Fattori, poi criticati per l'apertura alle nuove correnti europee - vi si stabiliscono, conducendo vite anticonformiste, spesso ai margini e con pochi mezzi. Un pomeriggio dell'estate appena trascorsa mi ha riportato fra quegli scorci, oggi profondamente mutati; eppure le opere conservate nella Villa Museo Puccini a Torre del Lago riaprono quel cenacolo creativo di cui il Massaciuccoli fu palcoscenico. Il confronto con i dipinti restituisce l'unità di un paesaggio e di un sentire. Basti pensare a Lago di Massaciuccoli di Lodovico Tommasi (1896): l'acqua bassa come un piano d'ardesia; i verdi salmastri che virano all'ocra sulle canne; il cielo compresso in grigi opalini. Il taglio quasi fotografico convoca lo sguardo lungo la linea delle barche, mentre le figure - appena intrise di luce - restano ferme
nella dignità del gesto quotidiano. Il quadro non si limita a descrivere gli elementi naturali: condensa una misura morale del luogo.
Nelle tele del gruppo tornano canneti mossi dal vento, riflessi cangianti, albe velate e tramonti umidi; verso la costa si stendono pinete e orizzonti sabbiosi. Le scene si animano di imbarcazioni che trasportano pietre dalle cave di Vecchiano ai cantieri di Viareggio e, su barche più piccole, cereali e falasco dalle terre bonificate. Donne e uomini - lavandaie, pescatori, contadini - sono ritratti senza compiacimenti, con la sobrietà del lavoro. La pittura oscilla tra il postmacchiaiolismo e il postimpressionismo, con adesioni divisioniste e spunti simbolisti: pennellate brevi, contrasti di colori complementari, tagli quasi fotografici. In alcuni esiti non manca una prossimità alla sensibilità di Alfredo Müller. Dominano verdi salmastri, ocra, grigi piombati: lo specchio d'acqua è presenza reale e, insieme, luogo mentale. Una geografia per immagini che percorre il lago negli sguardi silenziosi dei suoi poeti. Ne propongo qui alcuni esempi: Pagni, Torre del Lago (1889); Fanelli, Padule di Massaciuccoli (189495) e Lavandaie sul lago (1898); Gambogi, Caccia al volo sul Lago di Massaciuccoli (ca. 1910); Angiolo Tommasi, Lavandaia al Lago di Massaciuccoli (ca. 1900). Accanto a loro, artisti diversi per linguaggio ma coabitanti nel cenacolo pucciniano: Plinio Nomellini, con una luminosa adesione al simbolismo-divisionismo (tra i soggetti lacustri, Cacciatore sul Lago di Massaciuccoli, 1898); inoltre Galileo Chini, Luigi De' Servi, Lina Rosso, Leonetto Cappiello. Anche Lorenzo Viani, con il suo espressionismo inquieto, aggiunge ulteriori accenti a questo nucleo eterogeneo.
Sul versante della scultura - dalla vena scapigliata milanese di Paolo Troubetzkoy al simbolismo prezioso di Leonardo Bistolfi; e, in ambito lucchese,
Francesco Petroni e Arnaldo Fazzi - si delinea una stagione intensa che trova rispondenze negli interni della villa lacustre. In questo clima matura il «Club della Bohème», che riunisce Puccini con Nomellini, Pagni, Fanelli, i Tommasi e Viani. Gli incontri si tengono spesso nel capanno detto «Gambe di Merlo», poco lontano dalla villa. Con l'arrivo delle torbiere e dei relativi impianti - alimentati dalla torba del Massaciuccoli - l'equilibrio si incrina: paesaggio ed economie cambiano, erodendo quel margine di libertà che aveva fatto del lago un luogo appartato, distante dal frastuono della modernità. Il baricentro si sposta a Viareggio, divenuta nel frattempo una delle stazioni balneari più ambite d'Europa. Qui Puccini trova la possibilità di una nuova dimora immersa nella natura: nel 1915 acquista il terreno; l'architetto Vincenzo Pilotti e l'ingegnere Federigo Severini reinterpretano un lessico domestico americano di ascendenza Arts and Crafts alla luce del modernismo locale. Il cantiere, avviato nel 1919, si conclude nel 1921; il Maestro vi si trasferisce a fine dicembre. La fine della Grande Guerra impone un mutamento di clima che incrina le istanze internazionali. In controluce, il viaggio del 1910 per la prima di La fanciulla del West orienta gli esiti estetici della dimora viareggina e, insieme, la genesi dell'ultima opera, Turandot, rimasta incompiuta.
Della stagione dei Pittori del Lago restano oggi tele pregnanti, di toccante lirismo, conservate tra la Villa Museo Puccini a Torre del Lago, musei e collezioni private, a testimonianza di un momento artistico irripetibile. Luoghi mutati che pure ne custodiscono la memoria e che, se interrogati, sanno restituire il respiro di quel giovane cenacolo, di cui Puccini fu baricentro e innesco.