Gli artigiani fischiano Bersani: "Bel coraggio a venire qui"

Dopo Confindustria, contestato ancora il ministro allo Sviluppo economico: "Se le giornate sono vere ci si diverte due volte di più"

Gli artigiani fischiano Bersani: "Bel coraggio a venire qui"

Roma - Nella lista degli invitati c’erano anche Vincenzo Visco e il premier Romano Prodi. Ma tutti sapevano che, alla fine, l’unico in grado di affrontare un palco scomodo come quello dell’assemblea di Confartigianato sarebbe stato Pier Luigi Bersani. E così è stato. Nella platea dell’Auditorium non si è visto il viceministro dell’Economia con delega al fisco e nemmeno il presidente del Consiglio, che ha fatto sapere di essere impegnato negli incontri preparatori del vertice sul Documento di programmazione economica e finanziaria. Tesi che non ha convinto Silvio Berlusconi (non è andato «per non scontrarsi con nuove contestazioni») e nemmeno i piccoli imprenditori.
Il ministro allo Sviluppo economico ha invece confermato il suo ruolo di incassatore dell’esecutivo affrontando i delegati, indiavolati soprattutto per scelte non sue, come la revisione degli studi di settore. «Quando le giornate sono vere, ci si diverte due volte di più», ha commentato al termine dell’assemblea, per nulla sorpreso dall’accoglienza forse ancora più fredda rispetto a quella già gelida che gli avevano riservato Confindustria e i Giovani imprenditori nelle rispettive assemblee e convegni.
È una reazione «massiccia e giusta» da parte «dell’italia che produce», ha commentato Berlusconi che non è intervenuto ma ha raccolto una calorosa accoglienza. E che non ha rinunciato a lodare il coraggio del ministro avversario: «Secondo me, tra quelli che compongono la maggioranza è uno dei più bravi e oggi è stato anche coraggioso. Ha affrontato una platea ostile e lo ha fatto in modo diretto, molto simpatico e abile. Ha saputo alla fine portarsi via anche un applauso e per questo gli ho fatto i miei complimenti».
E l’intervento di Bersani è stato effettivamente difficile, aperto dai fischi e dalle proteste dei delegati che andavano dal «Prodi facci sognare» (allusione alle intercettazioni del caso Unipol) al «mandalo via», diretto al presidente Guerrini che cercava di placare i suoi delegati facendo appello al rispetto degli ospiti, fino al «ci vuole coraggio a venire qui». «Non mi manca - ha replicato efficacemente il ministro - io sono figlio di un meccanico».
Captare la simpatia dei piccoli imprenditori è la specialità di Bersani che ha guidato la regione dove la sinistra si è meglio sintonizzata con le aziende. Ma questa volta non gli è bastato nemmeno sostenere che nel governo «di errori ce ne possono essere stati» per far digerire agli artigiani gli studi di settore. «Qualcosa non è andato, si è creata qualche incomprensione ma non possono essere ritenuti una minimum tax né un accertamento automatico», ha argomentato il ministro. Ma in concreto non ha offerto niente di più della promessa che l’amministrazione fiscale valuterà le posizioni di chi non si riconoscerà negli studi alla luce dell’evoluzione degli accordi futuri con le categorie. Poco per imprenditori alla ricerca di certezze già da quest’anno.
Altro argomento scottante era quello degli indici di congruità, attaccati pesantemente dal presidente di Confartigianato. «Nessuno - ha evidenziato Bersani - ha intenzione di fare il sovietico. Da qui a luglio (quando entrerà in vigore la normativa secondo la quale lo Stato decide se il numero di dipendenti di un’azienda è adatta al tipo di attività che svolge, ndr.) ci sono apposta i tavoli, ci sarà quindi il tempo per trovare intese e adattamenti». Fischi quando ha annunciato che la prossima finanziaria «non sarà lacrime e sangue». Un applauso convinto quando ha sostenuto «Non si può dare l’idea che ho ragione solo io e che tutti gli altri hanno torto. Nessun Paese sta in piedi così». Un appello al reciproco rispetto che è piaciuto a Berlusconi, che ha rassicurato gli imprenditori.

E che ha tolto dagli impicci il governo, come dimostra la gratitudine di Rosy Bindi. Grazie a Bersani, ha sottolineato, si è capito «che qui siamo tutti classe dirigente. Se ognuno fa la sua parte forse ce la facciamo, altrimenti non c’è partita».

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