«Asfissia da zolfo? Sembra di tornare a fine Ottocento»

Un incidente tanto drammatico quanto raro; per spiegare in termini scientifici la dinamica dell’intossicazione da zolfo gli esperti devono far riferimento a casistiche di fine Ottocento, in età preindustriale, quando le morti nelle solfatare erano all’ordine del giorno.
La tragedia avvenuta ieri a Molfetta ha infatti pochissimi precedenti negli ultimi decenni. Giancarlo Umani Ronchi, professore di medicina legale all’università la Sapienza di Roma, è stupito nell’apprendere le modalità della tragedia: «Sinceramente - confessa - in tanti anni è la prima volta che sento un episodio del genere, sono casi rarissimi». Rari, ma fatali: «Quando si formano vapori di zolfo - spiega l’esperto - di anidride solforosa o idrogeno solforato, il sangue non si ossigena più, viene bloccata l’emoglobina, e si muore per asfissia. Non respiratoria, ma sanguigna». E la morte è rapida: «Non c’è molto tempo, quasi subito interviene la perdita di conoscenza, che probabilmente è quello che è capitato agli operai scesi nella cisterna per tentare di soccorrere la prima vittima, e si muore».

«Molto probabilmente - commenta il tossicologo Roberto Gagliano Candela, dell’università di Bari -, sul fondo della cisterna c’erano residui di zolfo in polvere che, in seguito alla caduta degli operai, sono stati sollevati. È quindi possibile che siano stati inalati in grande quantità. Quando viene respirato lo zolfo viene degradato dai batteri e trasformato in idrogeno solforato. Quest’ultimo agisce bloccando l’emoglobina».

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