Arben ha 21 anni. È albanese. Ed è il primo rifugiato omosessuale in Italia. Ha ottenuto lo stesso identico status che l'articolo uno della convenzione di Ginevra riserva ai perseguitati politici, a chi rischia la morte, il genocidio o il carcere nel proprio paese di origine. Lui è rifugiato solo ed esclusivamente in funzione della sua inclinazione sessuale. In Europa si conta solo un precedente analogo in Svezia.
Arben in Albania forse non avrebbe rischiato di perdere la vita. Ma se la sarebbe rovinata, questo sì, fingendo di essere quello che non è. Sarebbe stato costretto a sposarsi o a farsi prete per essere accettato dalla sua famiglia e poter vivere tranquillamente. «In Albania - spiega - l'omosessualità non è punita dal codice penale, ma è come se non esistesse: non c'è informazione e i gay vengono pesantemente discriminati e non tutelati dalla legge». I suoi stessi parenti lo hanno rinnegato e gli hanno fatto avere lettere con minacce piuttosto pesanti. Anche di morte. Per questo lui, arrivato in Italia per frequentare la facoltà di Scienze Politiche a Firenze, non se l'è sentita di tornare a casa. Nemmeno quando il suo permesso di soggiorno da studente è scaduto. Per un certo periodo è stato al centro di accoglienza di Brindisi ed ora, da regolare, è tornato a vivere vicino a Pistoia. Proseguirà gli studi e si cercherà un lavoro. Gli amici in Toscana lo stanno incoraggiando a riprendere, a distanza, i rapporti con la sua famiglia. Se non altro per spiegare le proprie ragioni e provare, per l'ultima volta, ad essere accettato così com'è.
«Quando ho scoperto di essere gay, a 16 anni, non sapevo neppure che esistesse la parola - racconta - l'ho dovuta trovare su internet. Gli organi di informazione non parlano di omosessualità se non per ridicolizzarla, per i medici è una malattia. Spesso i gay sono arrestati o diventano oggetto di persecuzioni immotivate, senza contare le aggressioni fisiche. Per questo a 18 anni sono venuto in Italia a studiare». A lottare per fargli ottenere lo status di rifugiato sono scesi in campo l'Arcigay della Toscana, il centro antidiscriminazione della Provincia di Pistoia e i politici Vladimir Luxuria, Mercedes Frias, Giampaolo Silvestri.
Bert d'Arragon, presidente dell'arcigay regionale della Toscana, sprona a non sottovalutare il problema dell'omosessualità in Albania: «Fino al 1995 - sottolinea - in Albania l'omosessualità era un reato penale. In seguito è stata depenalizzata in quanto il Paese voleva allinearsi alle normative dell'Unione europea. Ma nella società ben poco è cambiato: non solo i gay sono discriminati, ma non hanno neppure la tutela della legge».
Daiana Leporatti, dell'Arcigay di Pistoia, racconta che il presidente dell'associazione degli omosessuali in Albania è stato «arrestato per una banalità e ucciso in carcere dopo un paio di mesi».
A Pistoia si sono fatti in quattro per aiutare Arben e per convincere la commissione territoriale competente ad accettare la richiesta. «Abbiamo fornito - spiega Daniela Gai, assessore alle Politiche sociali della Provincia di Pistoia, che ha seguito il caso passo per passo - tutta la documentazione necessaria per dimostrare che per Arben c'era un effettivo pericolo di incolumità fisica e psichica se fosse tornato a casa dalla sua famiglia.
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