Uli Stielike giace dentro la porta del gentiluomo Harald Tony Schumacher. Lo avvolge, come fosse un branzino impigliato, pescato, la rete floscia. Non cè altra traccia in quella storica fotografia. Come se il campo fosse deserto, vuoto lo stadio spagnolo e Stielike un uomo solo, vinto. Ma è limmagine giusta, migliore, ideale per rileggere e capire la sfida mondiale tra Italia e Germania che fu, nella notte di Madrid e che va a essere nella sera di Dortmund.
Un tedesco stremato, sconfitto, umiliato, un difensore aspro ed elegante, costretto ad arrendersi. Con la squadra sua. È la nuvola dei nostri sogni, di un azzurro profondo. È la voglia di superare in casa sua la grande Germania, togliendole lultimo giro di danze, a Berlino.
La memoria del 1982, laltra del 1970, ugualmente forte ma più lontana per le generazioni contemporanee, serve come doping naturale al gruppo di Lippi e diventa un incubo ricorrente per la squadra di Klinsmann, vento di pioggia per chi pensa di avere ormai lestate da festeggiare sulle riviere nostrane.
Questa coppa del mondo ha ribadito che il football vive di ricorsi, di malefici e congiunture, lo sanno gli inglesi ancora eliminati ai rigori, e ancora dai portoghesi; lo sanno i brasiliani rispediti sulla terra dai francesi, come a Guadalajara, come a Parigi. Semplici coincidenze, assicurano gli esperti e gli stessi calciatori che non credono (non vogliono credere, in verità) al trigono pallonaro.
Eppure lalbum delle fotografie e le note degli almanacchi confortano la tesi: a volte basta la parola, basta limmagine di quella maglietta, di quel torneo per entrare in stato di agitazione o in crisi euforica.
Al di là di tutto, questo martedì rappresenta la grande occasione per dimostrare che il gioco del calcio è un sudoku con una sola risoluzione, basta mettere i numeri al posto giusto e si arriva alla vittoria. I numeri sono i calciatori, a volte è anche larbitro.
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