Assalti alla sede del Pdl Così finisce in carcere il figlio dell’ex terrorista

Aneddoto. A palazzo di giustizia, qualche anno fa, un magistrato molto schierato a sinistra - dopo che avevamo ingiustamente accusato Valerio Ferrandi di aver partecipato a un corteo cittadino mentre invece lui era a Parigi - ci aveva violentemente attaccato. Quindi, nel suo studio e davanti al nostro avvocato, aveva assicurato: «Ferrandi è un bravo ragazzo. Adesso gli ho fatto una ramanzina e vedrete che metterà la testa a posto». Da allora sono passati sette anni. E ieri il 26enne Ferrandi, meglio conosciuto con il nome di battaglia «Sid», è finito in carcere per la prima volta e, come ha commentato qualcuno «si è rovinato la vita».
Questo figlio d’arte - suo padre è Mario, ex terrorista del gruppo di estrema sinistra Prima Linea da cui poi si è dissociato - secondo quanto stabilito dagli investigatori della Digos di Firenze, è accusato di danneggiamento e attentato contro i diritti politici dei cittadini per aver partecipato il 21 maggio scorso al danneggiamento (lancio di pietre e lancio di fumogeni) di una sede del Pdl a cui è seguito un incendio. Un atto di distruzione messo a segno durante le manifestazioni di protesta contro un’operazione di polizia nei confronti del gruppo di area anarchica fiorentino «Spazio liberato 400 colpi».
Bloccato a Milano dagli investigatori della Digos locale Sid, già sottoposto a sorveglianza speciale, è l’unico, su sette arrestati a essere finito in carcere: gli altri sei anarchici accusati a Firenze si trovano tutti ai domiciliari.
Occhi verdi, capelli scura, struttura dinoccolata, molto sveglio e perspicace Ferrandi, a partire dal 2003, è stato denunciato dalla Digos di Milano per manifestazioni e presidi non autorizzati. L’anno scorso ad aprile il tribunale di Milano lo ha condannato in primo grado a due anni e sette mesi per una rapina in una libreria Cusl che lui e i suoi amici anarchici volevano far passare per un esproprio popolare. La sentenza, però, non è definitiva e lui è rimasto in libertà. Sottoposto agli obblighi della sorveglianza speciale (avrebbe dovuto rimanere a casa dalle 21 alle 7 del mattino) durante i controlli è stato più volte trovato altrove. Ma, com’è tipico del suo carattere, Valerio Ferrandi non se n’è mai curato molto di queste cose. Anche ieri, quando i poliziotti della Digos sono andati andata a casa sua a prenderlo, non ha fatto scenate. «Ormai ci conosce da parecchi anni» spiegano in questura.
La sua lunga militanza nei centri sociali - iniziata giovanissimo tra i ragazzi dei collettivi studenteschi - lo ha portato a frequentare anche le frange più estreme di centri sociali come il Lab, Spaziokasa e altri laboratori dell’area anarchica.
Una «carriera» la sua che comunque non ha nulla ha a che vedere con quella del padre, impegnato a suo tempo nella lotta armata.

Mario Ferrandi, infatti, ha scontato una condanna per concorso nell’omicidio dell’agente di polizia Antonio Custra ucciso durante una manifestazione il 14 maggio del 1977. Insieme ad altri autonomi del collettivo «Romana» esplose alcuni colpi di pistola verso gli agenti impegnati nell’ordine pubblico in via De Amicis.

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