L’Italia affronta una fase di stretta nella quale, dopo la crisi finanziaria, l’export, fondamentale per la nostra economia, sentirà i morsi della flessione dello sviluppo globale. Primo obiettivo diventerà tenere vivo il tessuto industriale assicurando innanzitutto il credito. È dunque saggia la scelta di sostenere la solidità del sistema del credito anche con l’intervento pubblico. Anche se è opportuno che le risorse dello Stato indirizzate alle banche finiscano alla produzione e non a giochi finanziari dei tipi alla Romain Zaleski: e se questo indirizzo non è in grado di favorirlo Bankitalia, ben vengano i prefetti. Oggi è ragionevole la preoccupazione di un saggio leader degli imprenditori come Emma Marcegaglia, si dovrebbe però evitare di cedere ai nervosismi. È il momento dei nervi saldi. Se non ci si vuole ispirare a Silvio Berlusconi, si dia ascolto a Barack Obama.
Chi dà, in questo senso, grande sensazione di concretezza è Raffaele Bonanni, leader della Cisl, affiancato da Luigi Angeletti, della Uil: in un momento difficile potrebbe venire la tentazione di giocare a «classe contro classe», di chiedere la strizzatura fiscale di chi non ha un lavoro dipendente - come ancora accennano Pier Luigi Bersani e Vicenzo Visco - invece i sindacati riformisti scelgono proprio questo periodo per incontrarsi con la Confcommercio e proporre un’alleanza per un fisco sì più equo, quindi con meno evasioni, ma non persecutorio, che cioè non viene fatto funzionare con le torture inventate dal governo Prodi, ma piuttosto grazie a concertazioni del tipo degli studi di settore.
È dal confronto con quel che propone il sindacalismo riformista che emerge ancora di più lo sbandamento della Cgil. Ieri Guglielmo Epifani ha chiesto alcune attenuanti generiche per i suoi comportamenti, spiegando come le sue derive massimaliste servano ad assorbire scoppi di rabbia come quelli esplosi in aree dell’Europa. Invece di contribuire a scelte concrete, a Corso d’Italia ci si propone come una sorta di sfogatoio. Imponendo a un riformista come Agostino Megale, della segreteria di Epifani, di chiedere che «si tassino i ricchi». Anche nei periodi più duri, lo si coglie persino dal melodrammone della Rai su Giuseppe di Vittorio, l’anima sindacale della Cgil ha cercato di privilegiare la concretezza alla propaganda. Alla fine degli anni Sessanta il segretario di allora, Agostino Novella, voleva una riforma delle pensioni che non sballasse i conti pubblici com’è avvenuto con quella approvata perché il Pci di Luigi Longo impose di scioperare.
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