Tassano tutto. Anche gli assegni. E allora hanno stravinto, ci vogliono poveri anche nei sogni. La carta perde. Via il libretto, via la firma, via il postdatato, via la girata, via il circolare, via il non trasferibile, via quello in bianco e quello sbarrato, sbarrato come le filovie o i tram di una volta, via il contrassegno, pagamento alla consegna, via «l’a vuoto» e, infine, cassa integrazione per le forbici che il cassiere usava per spillare, tagliando l’angolino di quel rettangolo passato nelle sue mani e poi chiuso in archivio.
Fine di un’epoca, come quella dei miniassegni, roba da collezionisti e da maniaci speculatori. Tre anni di fuoco, dal Settantacinque al Settantotto, ottocento tipi di banche improbabili, mai sentite, mai viste, di ogni tipo e credito, piccoli rettangoli di carta, come il gioco del monopoli, al posto degli spiccioli; secondo una maligna voce le monetine, scomparse improvvisamente dal mercato, venivano dirottate in Giappone, là erano utili per assemblare le casse degli orologi digitali.
Ovviamente incominciarono a circolare miniassegni falsi, anche in questo italiani da record mondiale. Di assegni falsi, ballerini, esistono bauli in giro per il Paese, le farfalle poi volano dovunque. Secondo gli storici che dell’articolo si sono occupati, mannaggia a loro, addirittura 4mila anni orsono già un similassegno circolava tra gli assiri. Trattavasi di una tavoletta in argilla sulla quale era impresso il prezzo della merce che era stata contrattata, il prezzo veniva stabilito in argento o in rame. La tavoletta poteva a sua volta essere girata per acquistare altre merci; speciali e specifici rappresentanti del potere politico e amministrativo controllavano che l’argilla e tutto quello che sopra era impresso godessero delle opportune garanzie altrimenti si finiva davanti al tribunale del tempio che poteva condannare al pagamento triplo del capitale. Roba grande per il tempio e per il tempo.
I posteri, dal medioevo in giù, se la sono cavata con una lavata di capo, al massimo l’iscrizione a bollettino, varie ed eventuali. Scomparsa l’Italia delle cambiali, quella che arrivò al boom, siamo passati al pagamento a rate, facili e comode, ma l’assegno bancario, prima dell’avvento della carta di credito, dei bonifici, dei pagamenti on line, ha avuto il suo fascino, il suo potere, la sua efficacia. Anzi il libretto che contiene gli assegni veniva regalato per le feste di Natale dalle banche come riverenza al cliente, confezione in similpelle per i correntisti ordinari, in canguro, cuoio e affini per i multimilionari ai quali veniva donata anche agenda dello stesso pellame. Con il libretto e il blocchetto di assegni incorporati ci si sentiva un similsignore, la compilazione del modulino provocava (continuo a usare il tempo imperfetto, ormai sto invecchiando come il libretto) attimi di tremore, soprattutto quando si doveva scrivere per esteso, in lettere, la somma riportata in cifra nella parte alta. Ma l’attimo fatale era quello della firma, una specie di timbro papale, ecco, io sono questo qui, si paghi. Per fare gli snob spesso si usavano anche termini forestieri, dunque l’assegno era lo cheque, più sofisticato e meno volgare, soprattutto se l’emissione avveniva in presenza di femmine attraenti o attratte da uno splendido regalo, pelliccia, gioiello, borsetta. Si comprava l’auto firmando l’assegno, si sottoscriveva il rogito alla presenza del notaio che acciuffava l’assegno (a volte lo stesso galantuomo se lo faceva «girare» per non pagare tasse, lui!), si pagava anche l’albergo a conguaglio delle ferie estive e invernali. Lentamente il libretto ha perso colore, sia per la qualità del pellame o sky, sia per il logorio dell’economia moderna. E allora, tristemente, è rimasto nel cassetto, con il suo blocchetto pulito, intonso. Una specie di miraggio, ecco, non ne ho staccato nemmeno uno in questo mese, sono più ricco. Idiota, controlla il bancomat che così si chiama perché un giorno funziona e l’altro a volte, controlla l’estratto conto della carta di credito, controlla l’on line, che sarebbe internet, che sarebbe il mondo virtuale però realissimo nella sostanza e nei fondi sempre più scarsi. Una carezza al blocchetto degli assegni, pagine di diario antico, scritte con la stilografica che lasciava la macchia al pollice e all’indice. L’assegno ha finito la sua storia, così come il conto. I soldi sono anch’essi di carta, a volte straccia, si smaterializzano, spariscono dalle tasche, non sono più di moda, la moneta è unica ma nel senso etimologico. Continuiamo a spendere ma senza portafoglio. Chi ne regala uno pensa ancora in bianco e nero, chi lo riceve in dono lo «gira» al portinaio che a sua volta lo dirotta al postino che, alla fine, ce lo riconsegna come omaggio delle Pt.
Tony Damascelli