Associazione a delinquere, un altro giudice in carcere

Tempi duri per le toghe, sempre più protagonisti della cronaca non in veste di amministratori della giustizia, ma di indagati. Dopo le rivelazioni delle scorse settimane sulla «nuova P2», che avevano tirato in ballo il presidente della Corte d’appello di Milano Alfonso Marra, ora un giudice è addirittura finito in manette.
È accaduto a Perugia, dove il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma, Giovanni Dionesalvi, è finito in carcere insieme a un ex imprenditore sardo in pensione, Giampaolo Mascia, e alla famiglia di quest’ultimo: i figli Vittorio e Gimmarco e la moglie Piera Balconi. Le accuse vanno dal falso materiale in atto pubblico al falso ideologico in atto pubblico, dalla corruzione in atti giudiziari all’abuso di ufficio, fino all’associazione a delinquere.
In sostanza, il giudice avrebbe aiutato Mascia in un piano venuto a galla dopo mesi di pedinamenti e intercettazioni nel corso dell'inchiesta «Mattone d’oro». L’impresa di Mascia, dopo aver eseguito lavori nelle strutture militari negli anni Ottanta e Novanta, aveva cominciato a presentare ricorsi (135 in tutto) per ottenere denaro dal ministero, vantando crediti spesso inesistenti. In cambio di alcuni lavori edili gratuiti nella sua villetta di Porto Cervo, il giudice Dionesalvi avrebbe accettato parecchi di questi ricorsi, emettendo decreti ingiuntivi o facendo pressioni per agevolare le pratiche. Un comportamento che ha fruttato grosse somme ai Mascia.
Sull’ordinanza di custodia cautelare che ha accompagnato gli arresti (eseguiti giovedì scorso e confermati dopo l’interrogatorio di garanzia), si legge che il giudice era legato all'imprenditore da «strettissima amicizia». Un’amicizia «interessata», come emerge dalle intercettazioni. In cui appunto Dionesalvi pretende - con quella che viene definita «faccia di bronzo» - lavori edili e non nella sua casa, contigua a quella dei Mascia. Lavori che sarebbero stati sostenuti dall’impresa gratuitamente.
Il meccanismo delinquenziale, balzato agli occhi dell’Avvocatura dello Stato, dal cui esposto ha preso il via l’indagine, era semplice: Mascia presentava ricorsi in cui pretendeva emolumenti superiori a quanto previsto in appalto, il giudice Dionesalvi contraffaceva le copie dei documenti (senza toccare gli originali) ed emetteva decreti ingiuntivi.
Con «Mattone d’oro» dovrebbe finalmente concludersi il contenzioso che da anni vedeva opposti l’impresa di Mascia e il ministero della Difesa.

Gli inquirenti della procura di Perugia, competente nel caso sia coinvolta la magistratura romana, sono alle prese con migliaia di documenti da esaminare e per trasportare il materiale nel capoluogo umbro è stato necessario ricorrere a un furgone.

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