Assogestioni, la sfida del dopo Cammarano

Il rischio di un nuovo scontro sul modello Abi. Le chance di Frigerio (Unicredit) e la corsa di Ferrari (Arca)

Marcello Zacché

da Milano

Da 21 anni rappresenta la «faccia» dei fondi comuni. Nel bene e nel male. Ma tra qualche mese finirà il suo secondo e ultimo mandato: Guido Cammarano, presidente di Assogestioni dal 2002, dopo essere stato segretario generale fin dal 1985, cioè dalla nascita dell’associazione che riunisce le società del risparmio gestito, non può essere rinnovato. Per questo in primavera lascerà la presidenza. E per la sua successione sono appena iniziati i giochi.
Meno visibile di altre associazioni in ambito finanziario, Assogestioni potrebbe essere vicina a una svolta. Il paragone con la sorella maggiore, l’associazione bancaria italiana, è improponibile. Ma pensare che il cambio al vertice possa diventare l’occasione per aumentare il peso specifico è verosimile. Almeno così la pensano molti gestori e addetti ai lavori che lamentano una cronica disattenzione del mondo della politica nei confronti di un’industria che gestisce mille miliardi di patrimonio e di risparmio degli italiani. Per questo, prima ancora dei nomi, sul terreno ci sono i temi, le questioni che la futura Assogestioni dovrà affrontare. Possibilmente con sempre maggiore autorevolezza.
Da un lato c’è il rapporto con il mercato. E su questo è già stato fatto molto, come conferma l’ormai regolare presenza di un rappresentante dell’associazione nelle assemblee dei grandi gruppi, a mo’ di sceriffo della trasparenza nella corporate governance. Dall’altro c’è invece il nodo dei rapporti con le istituzioni, a partire dal governo. Due sono i punti su cui, a sentire le campane più critiche, Assogestioni deve fare di più. Il primo è la sudditanza nei confronti di Bankitalia: brucia a molti operatori del settore l’imposizione venuta da via Nazionale sul pricing dei prodotti del risparmio gestito, che invece le Sgr vorrebbero veder determinati dal mercato. Mentre l’altro, e più importante, riguarda la questione fiscale: com’é noto il sistema italiano prevede che il prelievo dell’imposta dovuta sui capital gain venga fatto sul «maturato», e non sul «realizzato». In pratica ogni giorno il gestore sottrae al valore della quota il 12,5% sull’eventuale plusvalenza realizzata in quello stesso dì. Mentre, in caso di minusvalenza, si crea un credito d’imposta. Ma mentre la prima viene versata subito, per la seconda «si vedrà». Diversamente in Europa (vale per i fondi esteri o estero-vestiti venduti in Italia) la tassazione è effettiva: avviene al momento della vendita della quota. Questo secondo sistema è preferito dai fondi perché più equo nei confronti dei loro clienti. Ma meno dall’Erario, che con l’altro sistema incassa tutto e subito. Finora le pagine comprate da Assogestioni sui grandi quotidiani non sono servite a nulla. Anzi, pare che Visco stia studiando di estendere il concetto di «maturato».
Di fronte a tali tematiche, la corrente di pensiero prevalente è, almeno in questa prima fase, per un presidente-gestore. Magari appartenente a un grande gruppo bancario. Anche perché qui non c’è partita: si pensi che Intesa-Sanpaolo e Unicredit, tramite le loro Sgr, da soli valgono il 52% del mercato. Ed è ben difficile che, dopo le risse per gli equilibri in Abi (risolte con un «cappotto» a favore di Intesa), i due colossi si mettano a litigare in Assogestioni. Per questo il numero uno di Pioneer (Sgr di Unicredit) e attuale vice di Cammarano, Dario Frigerio, potrebbe essere il candidato ideale delle grandi banche.
Semmai la contrapposizione per la guida di Assogestioni può essere con i piccoli, guidata dalla pattuglia dei tre più brillanti: Azimut, Kairos ed Ersel. Da soli arrivano solo al 4% del mercato. Ma c’è un aspetto che li rende più forti: sono loro, liberi dai lacci e lacciuoli che ingessano le Sgr di emanazione bancaria, quelli che tirano il mercato. Basti pensare che fino a oggi, nel 2006, il sistema fondi, nonostante il boom di Borsa, ha perso ben 14 miliardi di patrimonio. Una debacle che riguarda principalmente i big. Mentre in termini di raccolta netta i tre maggiori indipendenti sono positivi e secondi solo agli stranieri JpMorgan e Csfb. E se si guardano le performance, anche in questo caso i fondi più forti sono quelli delle Sgr «minori». Improbabile però che all’interno di questa ristretta pattuglia di «indipendenti» si possa individuare un possibile successore di Cammarano: rappresentano una fetta troppo piccola del mercato e dunque dell’associazione. È facile che le logiche dei grandi alla fine prevalgano.
Ha invece qualche maggiore chance un’ipotesi «popolare», ed è quella della candidatura di Attilio Ferrari. Il patron di Arca, Sgr delle banche cooperative, vanta un’esperienza ventennale nel settore, ed è anch’esso già presente nel consiglio direttivo e nel comitato esecutivo, oltre che essere il presidente del collegio dei revisori. E potrebbe essere un nome che raccoglie le adesioni di molti.

Non sembrano avere molte chance, infine, altri due possibili partiti: né quello «assicurativo», composto cioè dalle Sgr appartenenti a grandi compagnie, né quello «estero», in rappresentanza della pattuglia delle banche straniere. Il primo perché non ha né i numeri né la forza di contrapporsi alle banche o ai piccoli «campioncini», il secondo per evidenti ragioni di opportuno campanilismo.
In ogni caso la partita è appena iniziata.

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