È clandestino. Cioè, legge alla mano, è responsabile di un reato previsto dal codice penale. Ma secondo un giudice è innocente, perché commettere un reato così non vale. È un reato «troppo lieve» per essere perseguito. Cioè, non si tratta più di vedere se «punire» il reato con una pena più o meno lieve, ma addirittura di considerare il reato stesso come inesistente.
È quanto emerge al termine di un processo tenutosi nellaula di un giudice di pace di Recco, che ha assolto un immigrato irregolare denunciato proprio per la sua clandestinità. La decisione è stata quella del «non doversi procedere per particolare tenuità del fatto». In pratica il giudice di Recco ha motivato la fine del processo, con conseguente cancellazione delle accuse, poiché limputato era «incensurato, non aveva mai avuto problemi con la giustizia e svolgeva unattività lecita, seppure in forma irregolare, così che non appariva giustificata lazione penale nei suoi confronti» secondo i requisiti dellarticolo 34 del decreto legislativo 274/2000.
Considerazioni del tutto logiche da parte di un magistrato che deve porsi il problema anche della condotta dellimputato per comminare la pena. Per determinarne lentità. In effetti lo stesso pubblico accusatore non aveva chiesto una condanna esemplare o particolarmente pesante. Secondo il pm infatti si sarebbe potuto «saldare» il reato di clandestinità a carico del cinquantunenne straniero di origine albanese con unammenda di cinquemila euro. Decisamente meno scontata, da parte del giudice di pace, la scelta di rimettere del tutto laccusa nei confronti dellimmigrato.
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