Il caso Rizzo dice tanto sulla parabola di questa sinistra che, un po’ a sorpresa, nella scorsa primavera ha scalzato il Pdl dalla sua «culla» e roccaforte, quella Milano che rappresenta il cuore del blocco sociale dell’Italia liberale e moderata. Cosa è successo? Il presidente del Consiglio comunale, Basilio Rizzo, ha scritto a Giuliano Pisapia, agli assessori e ai massimi collaboratori del sindaco, per manifestare il suo «disagio per il proseguire delle assunzioni ex articolo 90». Al di là del tono, ovviamente amichevole, la lettera ha un contenuto impressionante per l’elettorato di sinistra. Perché la vittoria elettorale voleva essere molto di più di una «Milano espugnata», come disse un esaltato Nichi Vendola in vena di gaffe -e infatti subito rimproverato. Si trattò - questo almeno vollero farci credere - dell’alba di una nuova era politica, fatta di cieli azzurri e prati verdi, di «diritto alla felicità», di partecipazione e arcobaleni che presagivano un avvenire di pace e prosperità. Non era solo un semplice avvicendamento al governo della città fra due amministrazioni comunali, due schieramenti politici, due programmi politico-elettorali. La svolta era etica: il bene finalmente vinceva (sul male), e con esso prevalevano l’onestà e la sobrietà della «bella politica».
Chissà, è probabile che qualcuno (forse anche lo stesso Pisapia), abbia creduto davvero a questa rappresentazione, ma ora è uno dei garanti della «questione morale milanese», Basilio Rizzo, a sancirne il definitivo tramonto. Rizzo, ex esponente della Lista Fo rieletto nel maggio scorso con la lista dei comunisti e assurto al vertice del Consiglio, punta il dito sui suoi stessi compagni con argomenti clamorosi, e non risparmia una maliziosa critica al calcio-mercato (metafora sua) del sindaco: «Buon allenatore è chi, arrivando, plasma la squadra a partire dalla rosa» - ha detto - e non chi fa «pesca sul mercato», «con l’unico scopo di irritare lo spogliatoio e dividerlo». Rizzo è deluso, e la sua conclusione è un richiamo e un auspicio, più che una constatazione realistica: «Noi - dice - non siamo e non possiamo essere come gli altri (e vi prego non ditemi che siamo diversi per qualche unità in meno di assunzioni!)».
In effetti i primi 8 mesi di amministrazione comunale sono state costellate da una doccia fredda dopo l’altra.
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