«Da Atene a Pechino: i Giochi sono la mia isola dei famosi»

Caro Bettini, l'impresa è proibitiva, ma dobbiamo tentare. Tutta un’intervista di ciclismo senza toccare la fatidica parola che comincia per do e finisce per ing. Che dice, possiamo farcela?
«È dura. Ormai non succede più da dieci anni. Ma si può provare».
Cominci dai suoi sogni.
«Dal punto di vista sportivo, sono noti: ancora un Mondiale, il terzo, e ancora un’Olimpiade, la seconda. So bene che replicare è difficilissimo. Molto più difficile che fare il primo centro. Ma questo mi aiuta. Si dice che a 34 anni sia arduo trovare nuovi stimoli. Che dopo tante vittorie non si avverta più fame. Ecco: io nuovi stimoli li ho già trovati. Voglio battere la tradizione e la statistica, che dicono impossibili i bis e i tris».
Questo è il Bettini campione. E il Bettini uomo che cosa progetta per il 2008?
«Un ragionamento. Sarà l’anno decisivo. Mi prenderò una pausa, mi metterò davanti allo specchio e cercherò di capire. Di capirmi. In base a quello che capisco, aprirò uno dei miei cassetti chiusi, sperando di tirare fuori il sogno giusto per il futuro».
Quindi non è detto che il 2008 sia l’ultimo?
«No, non è detto. Però ci rifletterò a lungo. Io corro da quando avevo sette anni. Prima o poi dovrò reinventarmi. Ma non voglio deciderlo dalla sera alla mattina. Ho visto colleghi fare così, poi finiscono per allenarsi più di prima. Io non deciderò per impeto: ci penserò bene. Odio i pentimenti: quando la decisione sarà presa, resterà per sempre. Senza rimpianti».
Ancora ciclismo, nel suo domani?
«Non so. Non so proprio. Sono pronto a qualunque soluzione. Si tratterà di capire. Già ho provato altre cose. Per esempio, mi piace molto fare il contadino vicino a casa. Produciamo olio. Ma ci sono mille soluzioni. Credo solo che mi sarà difficile fare il fotomodello...».
Ha mai pensato che cosa le sarebbe toccato se non fosse diventato un campione della bicicletta?
«Ho il diploma di perito meccanico. Guardo i miei compagni, li vedo in azienda. Credo avrei preso la stessa strada».
A proposito di amarcord: pensa mai a quand’era bambino, e i genitori dei suoi avversari telefonavano agli organizzatori per sapere se Bettini era iscritto, in modo da cambiare corsa?
«Ci penso tantissimo. E rido da solo. Sono sincero: c’è anche rimpianto. Avrei voglia di quelle domeniche con la famiglia, in giro per la Toscana. La corsa era solo un’occasione per fare la scampagnata. Il problema più grosso non era la tattica, ma ricordarci di portare prosciutto, mozzarella e tavolino da pic-nic».
Non ha avuto un padre assillante, mi pare.
«Mio padre mi ha messo in bici per farmi fare uno sport. Ma poi mi ha lasciato fare. Ricordo come lo guardavano i padri degli altri bambini, quando un’ora prima della gara io mangiavo le patatine, e un’ora dopo mi buttavo nel mare. Loro, che allevavano i piccoli ciclisti a diete e tabelle».
Nonostante questo, vinceva sempre.
«Nonostante? Forse, grazie a questo».
Conosciamo il Bettini scavezzacollo che si butta negli sprint, che gira in Ferrari e che pilota gli aerei da turismo. Ma conosciamo anche il Bettini che si rinchiude nella sua azienda agricola a coltivare ulivi. Una curiosità: qual è il vero Bettini?
«Quello verissimo è il contadino. Ho un carattere aperto, mi piace la compagnia, mi piacciono le emozioni forti. Ma le volate, le corse in circuito sulla Ferrari, i voli in aereo non sono il segno di un’insoddisfazione. Vanno bene se sono momenti sporadici ed estemporanei. La mia vita è un’altra: adoro il silenzio, non mi fa paura stare solo con me stesso. L’ideale? Mi piacerebbe avere più tempo per starmene tra le mie cose. Poi, ogni tanto, fare la mattata».
Lei è uno di quegli uomini che sembrano aver realizzato tutti i progetti. Ce n’è uno che ha mancato?
«Me ne mancava uno: il brevetto di volo. Due giorni prima di Natale, però, ho superato l’esame. Adesso ho il brevetto».
Può andare in pensione.
«Hai voglia, ho ancora un sacco di cose da fare».
La prima, l’Olimpiade.
«Sì, i Giochi. Tanti mi chiedono la differenza con il Mondiale. Rispondo così: il fascino di un oro olimpico è unico. Il Mondiale ti dà tanto, ma resta una cosa nel tuo ambiente. I Giochi ti portano fuori. Tutto un Paese ti ama. Me ne sono accorto subito, dopo la vittoria di Atene. Già sull’aereo, il personale mi trattava come un principe. Non sapevano nemmeno in quale sport avessi vinto: ma sapevano che ero una medaglia d’oro. Per un po’ m’è sembrato di essere famoso come un calciatore».
Invidioso e rancoroso, come tanti suoi colleghi, nei confronti dei calciatori?
«Non scherziamo. Io sono contento di quello che ho avuto. La vita mi ha dato tutto, molto più di quanto mi sarei aspettato. Ai calciatori non invidio niente».
Nemmeno le allegre serate nei locali di grido con le veline? Nemmeno gli inviti ai reality?
«Nemmeno. Metterei in crisi un equilibrio di vita. No, resto tra gli ulivi. Magari mi perdo la popolarità presso qualche milione di persone. Ma so anche che vorrebbero il fenomeno da baraccone, non Bettini. E allora preferisco così. Meglio un bambino che mi ferma e mi chiede della medaglia d’oro, rispetto a qualunque vittoria sull’Isola dei famosi».
Chiudiamo a raffica: in bianco o al sugo?
«Al sugo».
Mare o montagna?
«Mare».
Beatles o Rolling Stones?
«Questa no. Non ce la faccio. Un pari».
Fede o ragione?
«Quasi sempre serve la ragione. Ma per certe cose resta solo la fede».
Cosa apprezza di più in un uomo?
«Se è determinato ed energico, se ha voglia di fare e lavora per il suo obiettivo».
E in una donna?
«Se queste cose sono presenti in una donna, punteggio doppio».
Che voto si dà come capitano?
«Dieci. Soprattutto pensando al Mondiale: con le pressioni che avevamo addosso, è stata veramente dura tenere tutti uniti».
Voto al papà?
«Non più di sei. Manco troppo. Vedendo la mia bambina crescere, penso spesso a quello che le tolgo».
Voto al marito?
«Cinque. Per lo stesso motivo.

Ma c’è una differenza: con i figli riesci a recuperare qualcosa, con la moglie i momenti persi non si recuperano più».
Bettini, possiamo fermarci. Ha visto? Tutta un’intervista senza sfiorare la fatidica parola.
«Ce l'abbiamo fatta».
Voto all'intervista?
«Solo per questo, dieci».

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