«Atterrai sulla Bmw di Vallanzasca E lui mi portò al bar per un gelato»

Dopo 37 anni di carcere, quattro evasioni e sette omicidi, la fama di bandito gentiluomo di Renato Vallanzasca si arricchisce di un nuovo episodio. Estate 1976, il terzo governo presieduto da Giulio Andreotti ha appena giurato, le radio trasmettono «Ancora tu» di Lucio Battisti e un ragazzino di nove anni di nome Antonio si sta godendo le vacanze tra la quarta e la quinta elementare. Antonio vive alla Comasina con la sua famiglia originaria di Napoli e, anche se non lo ha mai incontrato, sa benissimo chi è Vallanzasca. Temuto e rispettato da tutti, il bandito più famoso d’Italia continua ad abitare alla Comasina anche se è latitante e la polizia gli dà la caccia. Per il piccolo Antonio le sue imprese erano solo l’argomento dei racconti dei grandi. Il ragazzino non avrebbe mai immaginato di trovarsi faccia a faccia col «pericolo pubblico numero uno», mentre i suoi amichetti scappavano terrorizzati in un pomeriggio afoso dell’estate 1976. «Quel giorno io e i miei amici volevamo fare i salti con le biciclette e avevamo costruito un trampolino con delle assi di legno». Ora Antonio ha 42 anni e fa il barbiere, ma i ricordi di quel giorno sono vivi come se fossero passate poche ore. «A quell'età eravamo un po’ incoscienti perché il nostro trampolino si affacciava esattamente su una strada molto trafficata», ricorda. Ma per il gruppo di ragazzini contavano solo i salti con la bici. Dopo una lunga preparazione il trampolino è stabile sulla sua base di sabbia e pronto per la gara. Nessuno in vista: si va. Un salto, due salti, sempre più veloci. All’ennesimo tentativo Antonio prende la rincorsa e pedala più forte che può. Le ruote della sua bici si staccano dalle assi e per un attimo lui vola come nella locandina di E.T. Ma l’atterraggio non va come previsto. «Mentre ero già in aria mi sono accorto che una Bmw nera stava arrivando e non sono riuscito a schivarla, sono atterrato sul tetto dell’auto con tutte e due le ruote», racconta. Il tetto della Bmw è ammaccato e il guidatore sarà furioso, ora chi lo dice a papà? Mentre questi pensieri si affollavano nella testa del ragazzino, i suoi amici si erano dileguati veloci come lepri. «Solo quando il guidatore è sceso dall’auto ho capito il perché: era Vallanzasca. Aveva gli occhiali a specchio e una sigaretta in bocca, mi ha preso per un braccio e mi ha fatto allontanare dalla strada. Ero sicuro che mi avrebbe ammazzato». E invece davanti a quel monello con le ginocchia sbucciate, il gentiluomo ha avuto la meglio sul bandito. «Mi ha chiesto se mi ero fatto male e mi ha portato per mano in un bar dall’altra parte della strada». Il ragazzino non capisce cosa sta succedendo finché il bandito ordina un tè e un gelato per offrirglieli («forse avrà pensato che ero troppo piccolo per il caffè»). Sono pochi minuti, ma Antonio se li ricorda come alla moviola. «Quando ha visto che stavo bene mi ha salutato, è risalito sulla Bmw ed è ripartito sgommando».
Un comportamento strano per un delinquente qualsiasi, ma perfettamente in linea con la personalità del «bel Renè» (soprannome che lui detesta). Vallanzasca, infatti, amava stupire con gesti da film. Memorabile il mazzo di rose fatto recapitare a una cassiera dell’Esselunga di viale Monte Rosa che era svenuta durante una sua rapina. Piacione ai limiti del narcisismo con le donne, freddo e spietato durante rapine e sparatorie e disposto a tutto pur di non stare in galera. Poco prima dell'episodio raccontato da Antonio, infatti, aveva mangiato uova marce e si era iniettato dell'urina per contrarre l’epatite virale ed evadere dall’ospedale in cui era ricoverato con l’aiuto di un poliziotto corrotto.

Trentatré anni dopo quell’incontro, Antonio sa bene che Vallanzasca, oltre ai gesti teatrali, ha lasciato dietro di sé una scia di morte e di dolore, però ne conserva un ricordo positivo: «in fin dei conti con me si è comportato bene». Spesso il male e il bene vanno a braccetto, dopotutto anche Satana era una angelo.

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