Rubrica Cucù

Gli attori scioperano, gli spettatori pure

Quando passo dal Teatro Valle a Roma e vedo gli attori - veri, pre­sunti o sedicenti - che lo occupano da cento giorni, ho reazioni diverse...

Gli attori scioperano, gli spettatori pure

Quando passo dal Teatro Valle a Roma e vedo gli attori- veri, pre­sunti o sedicenti- che lo occupano da cento giorni, ho reazioni diverse. A volte li vedo e penso a D'Annunzio a Fiume, alla sua occupazione estrosa, anche se scorreva droga, alcol, orgia e pederastia. Il Vate fece di una città un teatro e di un programma politico un'opera d'arte; loro fanno l'inverso, di un teatro un centro sociale e di un lavoro artistico un programma politi­co. Ma li invidio, ripenso alle occupa­zioni sessantottine, al romanticismo bohemien, immagino le notti insie­me, i sogni in comune e infine penso che se solo è fiorito un amore nel pro­scenio o tra le quinte del teatro, que­sta occupazione ha avuto uno scopo e finisce in bellezza. Quando sono in­verso, li guardo e mi dico: ma perché insistere a pretendere di farvi mante­nere da artisti, magari statali? Fate gli artigiani, imparate un mestiere, idraulico, fabbro, ebanista. Oggi ser­vono badanti, infermieri, contadini, mica attori... Poi ritrovo l'equilibrio e ragiono: ragazzi, il teatro ha due pro­blemi. Uno, i cartelloni sono in gran parte noiosi, proprio perché pensati per gratificare chi recita e non gli spet­tatori, tre volte su quattro esci scon­tento se non liberato da un noioso in­cubo di due ore. Due, sapete che ci so­no teatri con trecento dipendenti con cartelloni poveri e penosi? Il cine­ma, l'editoria, i libri, la musica tutti in­sieme non mungono tanto denaro pubblico come i teatri.

Perché dob­biamo mantenerli così, autoreferen­ziali? Insomma, andate a monte, pri­ma di protestare a Valle.

Commenti