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Addio alle "Fettuccine Alfredo". Lo storico locale a rischio sfratto

Questa specialità conosciuta in tutto il mondo si deve all’intuizione che ebbe nel 1908 l’oste Alfredo Di Lelio con l’utilizzo di burro e parmigiano per rinvigorire la salute della moglie

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Andare a Roma e non mangiare le fettuccine all’Alfredo è un po’ come non vedere il Papa. Questa specialità conosciuta in tutto il mondo si deve all’intuizione che ebbe nel 1908 l’oste Alfredo Di Lelio con l’utilizzo di burro e parmigiano per rinvigorire la salute della moglie, debole dopo il parto. Quelle fettuccine sono riuscite a conquistare potenti e celebrità: da John F. Kennedy a Sophia Loren, da Walt Disney ad Alberto Sordi. Questi sono solo alcuni dei nomi di chi si è seduto ai tavoli de «Il Vero Alfredo» in piazza Augusto Imperatore dal 1950.
Un’istituzione che ora potrebbe scomparire, lasciando Roma orfana della sua anima più autentica e di maggior successo internazionale. I locali dello storico ristorante, infatti, fanno parte del complesso immobiliare ex Inps rilevato nel 2015 da una società del gruppo Benetton, la Edizione Property che sembra non avere alcuna intenzione di rinnovare il contratto di locazione già scaduto con i discendenti di Di Lelio. Per questo su «Il Vero Alfredo» pende ora la minaccia di sfratto che rischia di concretizzarsi il prossimo 22 maggio, data in cui è fissato il prossimo accesso dell’ufficiale giudiziario. La famiglia Di Lelio fa notare che ai tempi della vendita dal Fondo Immobili Pubblici non ha potuto esercitare il diritto di prelazione sui locali perché la società dei Benetton è riuscita a comprare in blocco il complesso dopo trattativa privata. Da parte dei nuovi proprietari c’è stato un muro di gomma nei confronti dei ristoratori: non vogliono «Il Vero Alfredo» ma non si sa con cosa vogliano sostituirlo.
Non lo hanno detto al ministero della cultura – che si sta interessando alla questione - nonostante l’immobile e gli arredi conservati all’interno siano stati riconosciuti bene di interesse culturale per decreto. A sostenere le ragioni dei Di Lelio c’è una sentenza del 13 febbraio del Consiglio di Stato che ha riconosciuto l’ammissibilità di un vincolo culturale di destinazione d’uso, dunque una tutela non solo dei locali ma anche dell’attività di ristorazione.

Ma non basta e il futuro del ristorante resta ancora incerto. Ce la farà il Davide delle fettuccine a battere il Golia dei colori?

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